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Barack and Dave: c’eravamo tanto amati. La chiara impressione è che le élites si siano stufate del loro burattino inglese. [Leni Remedios]

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22 Aprile 2016 - 21.12


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“Vi dico questo: avere il Regno Unito
nell’Unione Europea ci dà molta più sicurezza riguardo all’unione
translatlantica ed è parte della pietra angolare costituita dalle istituzioni
nate dopo la seconda guerra mondiale, le quali hanno reso il mondo più sicuro e
più prospero”

“Vogliamo assicurarci che il Regno
Unito continui ad avere quell’influenza. Perché crediamo che i valori condivisi
siano quelli giusti, non solo per noi, ma per l’Europa intera e per il mondo
intero”

(Barack Obama, intervista a John Sopel , BBC, estate 2015)

di Leni Remedios.

L’articolo di Marcello Foa apparso qualche giorno fa – che
sottolinea l’attrito fra gli Stati Uniti ed il loro principale alleato europeo,
il Regno Unito – ha innescato in me una serie di riflessioni a catena, da
osservatrice interna delle vicende britanniche. Il giornalista punta i fari sul
disappunto che la gestione dell’affare Libia da parte di Gran Bretagna e
Francia avrebbe generato nella Casa Bianca.

La leadership di “Dave” – David Cameron – è traballante
da molto tempo, molto prima dei Panama Papers, che arrivano come ennesima scure
sul povero, bistrattato primo ministro.

La chiara impressione è che le élites si siano stufate del loro burattino inglese. Sbuffano. Come
dei tori impazienti. E Cameron, sempre così sicuro di sé, comincia ora a sventolare
il drappo rosso con mano tremante, mentre il sudore gli cola copioso dalle
tempie.

Cosa sta succedendo dietro le quinte? Dobbiamo aspettarci
un colpo di scena? Non ora. Probabilmente dopo il referendum sul Brexit del 23 giugno. Per
ora le élites sono furiose, ma non
sanno bene cosa fare.

Analizziamo i fatti cronologicamente. Poi abbandoniamoci
a speculazioni. Concedetecelo.

Le notizie del mondo attuale corrono veloci e spingono
nell’oblio fatti accaduti nel passato recente.

Gli attentati di Parigi e Bruxelles ci hanno fatto
dimenticare che Dave è stato messo sotto pesante attacco già da settembre
dell’anno scorso, con l’uscita-scandalo di una biografia inaspettata, illustrante
le scorribande giovanili del futuro primo ministro. Tutti ricorderanno, ora, le
battute su una testa di maiale, riti iniziatici, uso e abuso di droghe. Particolari
coloriti che ricordano vagamente le (dis)avventure di personaggi nostrani. Come
se a quei livelli i leader mondiali avessero qualcosa di diverso fra di loro in
fatto di assecondare i propri vizi. Il nostro B. Si distingueva ‘solo’ in
tracotanza. Per il resto nulla di diverso dagli altri. Infatti – lo sappiamo – non
è affatto per le sue bizzarrie che è stato cacciato via in favore di un uomo di
Goldman Sachs
.


E che dire di Cameron? Non ha tanta importanza il
contenuto della sopra citata biografia, come si è detto. Ad essere importante
però è chi l’ha scritta ed il contesto in cui si situa.

In un mondo di ‘fughe di dati controllate’, in cui i leaks fatti trapelare – ormai è chiaro –
colpiscono obiettivi specifici che guarda caso son sempre i sassolini scomodi nelle
scarpe delle élites, il bombardamento
costante di un leader
fa legittimamente scattare l’allarme e fa pensare che
molto probabilmente qualcuno se ne voglia sbarazzare.

La biografia pietra dello scandalo è stata scritta non da
un cospirazionista, bensì niente di meno che da Lord Michael Ashcroft – uno dei
principali procacciatori di fondi del partito Tory – e da Isabel Oakeshott,
editorialista politica del Sunday Times,
una delle colonne portanti del sistema mass-mediatico britannico.  Certamente c’è una forte componente di astio
personale fra le motivazioni che hanno spinto Ashcroft a una scelta del genere
– ovvero la promessa mai mantenuta, da parte di Cameron, di offrire ad Ashcroft
un ruolo di prestigio una volta vinte le elezioni – ma il fatto che la
biografia abbia ricevuto un’ampia eco nei media mainstream  (Daily
Mail
in primis) ancora prima della pubblicazione fa riflettere. In un mondo
in cui i guardiani della soglia controllano
arcigni il mare di dati in entrata ed uscita, questo pesce grosso non può
essere semplicemente sfuggito
. È legittimo pensare che l’abbiano fatto uscire
apposta.

Fra la famigerata biografia e la difficoltà nel
raccogliere consenso per bombardare la Siria, Cameron già sudava freddo mesi
fa. Poi è successo quel che sappiamo a Parigi. E in solo colpo è stata spazzata
via la memoria della biografia e i tentennamenti sulla Siria.

Via, si bombarda. E così Dave riprese vigore.

Ma come se non bastasse, ci si misero i ribelli del suo
partito
.

Proprio da novembre Cameron faticava a tenere a bada i
suoi ‘backbenchers’, i parlamentari delle retrovie, alle prese con rifugiati e
immigrati e sempre più vicini a Nigel Farage che al loro primo ministro nella
loro insofferenza verso la Santa Madre UE. 

Dave si cimentava in frequenti viaggi a Bruxelles dove
faceva finta di far la voce grossa, ma in finale farfugliava solo qualcosa per
accontentare i suoi, giusto per tenerli buoni. 
Questi scalpitavano sui benefit
ai migranti. Intanto però il sistema sanitario nazionale e le scuole elementari
lamentavano scarsità di personale e paventavano la necessità di importare
insegnanti, medici e infermieri dall’estero (cosa che già succede da tempo, peraltro).
Benissimo. Importiamo dall’Unione, oltre che muratori, raccoglitori di mele,
badanti, ecc., anche lavoratori con un alto livello di specializzazione. In
cambio noi concediamo niente o quasi dal welfare. Il do ut des funziona solo
fra pari. Con i subordinati, specie se nelle vene si ha un alto tasso di
passato coloniale – vale solo depredare. 
Sembrava un’ottima mossa, molto abile, non c’è che dire. A questo punto la
concessione del referendum per giugno ci stava, tanto la situazione pareva
sotto controllo.  E invece no, non era
ancora finita per il povero Dave
.

Nel frattempo si sono intromesse due cose importanti, che
sembrano essere sfuggite di mano.

La prima è che ‘Boris lo scalmanato’ si è montato la
testa. Con una dichiarazione plateale, dopo aver a lungo tentennato e tenuto
Dave sulle spine, il sindaco di Londra ha annunciato di prendere parte alla
campagna ‘Vote Leave’ in favore di Brexit.

Non ci voleva.

Il sindaco Boris Johnson è sempre stato un personaggio a
sé. Però ha dalla sua un forte potere carismatico, forse proprio in virtù della
sua spiccata personalità.

Che fra i due ci fosse un attrito strisciante lo si era
capito da molto.  Il sospetto che Johnson
stesse tramando una sottrazione della leadership è sempre stato molto forte.

Però c’è un’osservazione importante da fare: va bene il
carisma, va bene il consenso, ma in questo giochino sono le élites ad avere l’ultima parola. Loro hanno bisogno di un leader
sufficientemente carismatico per accattivare l’elettorato ma nello stesso tempo
sufficientemente obbediente e incline a prendere gli ordini
. Probabilmente,
prima della virata su Brexit, un pensierino su Johnson l’avevano fatto.
Tuttavia ‘Boris lo scalmanato’ risponde solo alla prima condizione, non alla
seconda. Le teste calde son difficili da tenere sotto controllo. Berlusconi
docet.

Poi con la svolta di Johnson verso Brexit non se ne parla
proprio più. È fuori discussione. Le oligarchie vogliono la Gran Bretagna
dentro l’Europa
. Il perché– se non l’aveste capito prima –  è chiarissimo dalle parole di Obama che ho apposto
in apertura, che risalgono all’anno scorso e che ha rinnovato con forza in
concomitanza con l’attuale visita a Londra in un articolo a sua firma su The Telegraph.

E proprio Johnson ha avuto parole molto acide verso
quella che ha definito l’ipocrisia di Obama, che sostanzialmente dice “Fate
quello che dico io, ma non quello che faccio io” (riferendosi al fatto che gli
USA non accetterebbero mai l’interferenza di una Corte esterna sulle loro leggi
nazionali).

Ma prima di tornare su questo punto introduciamo il
secondo elemento di disturbo: il sempre crescente consenso di Jeremy Corbyn,
neo leader Labour, nel guidare la campagna per rimanere in Europa.

I sondaggi parlano chiaro. Dave non solo non riesce a
tenere a bada i suoi, si fa pure soffiare il consenso del pubblico dal capo
dell’opposizione. Insomma, non riesce proprio a gestire la situazione, cola
acqua da tutte le parti.

Come mai pure questo?

L’Europa propugnata da Corbyn non ha nulla a che vedere
con quella angloamericana di David Obama. La prima è l’Europa con al centro i
diritti dei cittadini, dei lavoratori. Insomma, l’Europa che tutti avevamo in
mente a livello ideale quando è stata fondata. L’Europa di Barack Ocameron,
invece, è l’Europa della NATO, del TTIP, dei banchieri alla Super Mario Draghi,
degli accordi infami con la Turchia, della soppressione dei diritti dei
lavoratori migranti.

Ecco perché Obama sbuffa infastidito. Qui c’è puzza forte
di democrazia. Vuoi vedere che, così come l’elezione di Corbyn a leader laburista
è sfuggita di mano, adesso gli elettori si stanno svegliando pure sulle reali
intenzioni dei burattinai riguardo al futuro dell’Europa? 

Il presidente americano ha sottolineato più volte come
sarà esclusivamente la volontà del popolo britannico a decidere e bisognerà
rispettarla.

Ma quando il detentore del guinzaglio è infastidito
comincia a perdere il senso della vergogna, oltre alle staffe, e passa alle
minacce psicologiche; quelle che mirano a suscitare sensi di colpa, in questo
caso all’elettorato britannico ed ai mal-conduttori della campagna elettorale.

Dice oggi Obama: «Le decine di migliaia di americani le
cui ossa riposano nei cimiteri europei sono la testimonianza silenziosa di
quanto la nostra prosperità e la nostra sicurezza siano intrecciate».

Chi ha orecchi da intendere intenda.

Forse non serve ribadirlo. Ma siccome Obama ha tirato in
ballo sicurezza e prosperità, occorre ricordare che mai come oggi l’Europa e il
mondo intero sono privi di sicurezza, tenuti in ostaggio come siamo dallo
sciame di attentati ‘imprevedibili’ del tremendo Califfato. In fatto di
prosperità è almeno dal 2008 che siamo succubi di una crisi senza fine, che ha
visto il prosperare solo del business militare/finanziario dei soliti noti.

Quindi, via libera alle speculazioni. Che cosa succederà
se all’alba del 23 giugno la Gran Bretagna deciderà di lasciare l’Europa? A
quel punto le dimissioni di Cameron saranno inevitabili. Ed anche in caso
contrario, stando alle incessanti pressioni, non sarebbe improbabile un cambio
di leader in corso di legislatura, cosa a cui noi italiani siamo allenati, ma
per la politica inglese potrebbe creare un meccanismo gradito ai manovratori. Tutto
potrebbe accadere. Incluso un altro sciame di attacchi ISIS, stavolta – chissà
– in suolo britannico. È da molto che i poster-boys dell’ISIS minacciano le
lande di Sua Maestà e scalpitano per averne l’occasione adatta. Del resto si è
visto come questi attacchi abbiano il potere di velocizzare i processi in corso
(vedi voto sulla Siria prima citato).

Chi potrebbe essere il succedaneo? Le élites sono a corto di pupazzetti.  Escluso Johnson, l’unico papabile potrebbe
essere il fidato George Osborne. E a dir la verità più di qualche osservatore
politico ha speculato su quest’ipotesi. Ma Osborne è deboluccio e la sua
goffaggine nel gestire il budget nazionale ha fatto aggrottare non poche
sopracciglia.

Non potrebbe essere diversamente? Ovvero che i burattinai
pensino di cambiare completamente le carte in tavola e, invece che a spostare
le pedine nella metà tory dello scacchiere adesso, puntino a una svolta
radicale nel partito Labour da qui a quattro anni? Il voto sulla Siria ha messo
in luce l’astro nascente di Hilary Benn – antitesi del padre Tony – il quale ha
attirato l’attenzione su di sé per la sua accondiscendenza verso politiche
guerrafondaie.

Ma è un terreno sdrucciolevole, questo, perchè non hanno
fatto i conti con la democrazia reale. Corbyn, silenziosamente, sta
conquistando il favore stabile della gente. E questo è il vero dato imprevedibile
per i burattinai. Senza consenso non possono fare nulla, verrebbe denudato il
re.

E allora bisogna essere preparati ai colpi di coda.

Il logoramento del governo Cameron non riguarda solo gli
interessi nazionali del Regno Unito. È la spia di un malumore internazionale
sempre più crescente
e segnale di una probabile estate calda a venire.

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