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La domenica del nostro scontento

Domenica gli italiani saranno chiamati a esprimersi sulla recente riforma costituzionale Boschi-Renzi. Potranno decidere se accettarla o rigettarla: Sì o No. [P.F. De Iulio]

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28 Novembre 2016 - 19.42


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di Pier Francesco De Iulio

Domenica prossima i cittadini italiani saranno chiamati ad esprimersi sulla recente riforma costituzionale Boschi-Renzi, approvata dal Parlamento la primavera scorsa. Potranno decidere se accettarla o rigettarla, nell”insieme delle modifiche apportate alla Carta. Sì o No.

Su questo “Sì o No” il dibattito è stato, soprattutto nelle ultime settimane, molto acceso. In taluni casi finanche violento, nei modi e nelle pratiche usati dagli schieramenti per accattivarsi il consenso popolare.

Abbiamo assistito al solito teatrino degli insulti incrociati e degli omaggi ai potentati di turno (nazionali e internazionali). Ci sono stati gli immancabili ripensamenti dell”ultima ora e i salti della quaglia così consueti alla vita politica del nostro paese. Tutti hanno detto la loro e si sono dati da fare per perorare la propria “causa”. Politici di tutti gli schieramenti, capi di stato e costituzionalisti, capitani d”industria e vescovi, rappresentanti del mondo lgbt e filonazisti, giornalisti ed intellettuali, attori, cantanti, l”immancabile casalinga di Voghera. In tv, sulla carta stampata, sui social network, nelle sezioni di partito, nei raduni, nelle piazze, perfino nelle sedi istituzionali e nelle chiese. Tutti hanno lavorato indefessamente con grande dispendio di energie. Qualcuno ha perfino preso un aereo per raggiungere le americhe. Qualcun altro ha promesso gite in barca e fritture di paranza.

Sulle pagine di Megachip ci siamo prodigati nel dimostrare le ragioni di chi si oppone a questa riforma costituzionale. Ci siamo “schierati” dalla parte del NO. Lo abbiamo fatto consapevoli soprattutto dell”enorme divario di possibilità che lo schieramento avverso alla riforma aveva — e ha avuto — rispetto ai suoi antagonisti nell”accesso ai mezzi di comunicazione e agli spazi del mainstream. Ma non di meno siamo stati motivati dalla giustezza delle argomentazioni e delle tesi. Ne abbiamo dato conto negli ultimi mesi pubblicando e riprendendo numerosi articoli e approfondimenti.

Dunque, si sono spese già molte parole (e molte volte a sproposito) sulla riforma costituzionale e le ragioni del Sì e del No. Tuttavia, su tre aspetti che hanno caratterizzato trasversalmente l”intero dibattito vale forse la pena di dire (o ricordare) ancora qualcosa: il metodo, il merito e il significato politico del referendum del 4 dicembre.

Il referendum popolare “confermativo” per le leggi di revisione della Costituzione è sancito dalla nostra Carta costituzionale all”articolo 138. Rientra tra quelle “garanzie” espressamente previste dai padri costituenti a tutela della democrazia e della sovranità popolare. Perché i cittadini si recheranno alle urne il 4 dicembre? Lo faranno perché la legge di riforma costituzionale Boschi-Renzi non è stata approvata dai 2/3 del Parlamento e quindi — secondo le modalità previste dall”articolo suddetto — è stato possibile invocare il ricorso al pronunciamento popolare. Inutile dunque stracciarsi le vesti sugli anni spesi in dibattiti parlamentari, votazioni, accordi (e disaccordi). L”ampio consenso (e io aggiungo giustamente) previsto dal nostro ordinamento giuridico per varare una riforma della Costituzione non è stato raggiunto. In Parlamento non su facebook. Altrimenti non staremmo neanche qui a parlarne — del referendum — e tutti gli italiani si sarebbero già dovuti adeguare, magari torto collo, alle nuove disposizioni. D”altronde, nel recente passato riforme costituzionali ce ne sono già state — pensiamo, ad esempio, alla nefasta introduzione del “pareggio in bilancio” in Costituzione —, fummo chiamati ad esprimerci in quel caso? No. Perché in quel caso la riforma ottenne i 2/3 dei voti favorevoli in Parlamento. Questa si chiama democrazia parlamentare.

«Bisogna entrare nel merito della legge e non farne strumento di campagna elettorale o di approvazione del premier». Chi non ha sentito dire almeno una volta queste parole — o qualcosa di simile riconducibile ad esse — dai promotori o dai sostenitori della riforma? E tuttavia, come disgiungere il “merito” di questa riforma costituzionale da un giudizio “politico” sull”azione di governo — di “questo” governo, e del suo premier —, nei suoi mille e più giorni di vita? Come non tenerne conto? Come non mettere in continuità un premier non eletto dai cittadini, un parlamento espressione di una legge dichiarata incostituzionale, il Jobs Act, la “Buona scuola” e tutta la compagnia cantante, con una riforma che mette insieme l”abolizione di un ente di rilevanza costituzionale come il CNEL, un Senato non più eletto dai cittadini e svuotato di gran parte della sua attività legislativa a favore di una Camera che sola potrà accordare la “fiducia” al governo e approvare la maggioranza delle leggi (comprese quelle fondamentali “di bilancio”), il cambiamento della procedura di elezione del Presidente della Repubblica, la modifica delle modalità di presentazione delle leggi d”iniziativa popolare e dei referendum abrogativi e la modifica dei rapporti tra Stato e Regioni previsti dal Titolo V?

Per non parlare della combinazione micidiale che si verrebbe a creare mettendo insieme questa riforma costituzionale e l”attuale legge elettorale, il cosiddetto “Italicum”. Una vera e propria bomba a orologeria per le sopravvissute garanzie democratiche del paese.

L”obiettivo di questa riforma è un obiettivo “politico”. Ed è questo obiettivo politico, in stretta correlazione con chi se ne è fatto principale artefice, che va valutato. Lo stesso Matteo Renzi, all”inizio della campagna referendaria, disse: «con il referendum mi gioco tutto». Salvo poi pentirsene al cambiare del vento dei consensi e dei sondaggi. Altro che “cambiamento”, che di per sé non significa molto di più se si dicesse “non esistono le mezze stagioni”. Altro che risparmi di pulcinella e procedure più “snelle” per fare approvare le leggi. La democrazia non ha bisogno di mettersi a dieta. La democrazia ha bisogno che si rispetti la sovranità popolare e la Costituzione della Repubblica italiana.

(28 novembre 2016)

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