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Congelare MPS, per salvare Unicredit

Il salvataggio del MPS procederà con ricapitalizzazione preventiva, Stato-azionista, rimborso degli obbligazionisti subordinati con denaro pubblico. Ma è davvero così?

Congelare MPS, per salvare Unicredit
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6 Febbraio 2017 - 12.09


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di Federico Dezzani

Sulla vicenda Monte dei Paschi di Siena è calato il silenzio. Si
dovrebbe pensare che il salvataggio dell’istituto senese procederà
secondo le linee annunciate dal governo: ricapitalizzazione preventiva,
Stato-azionista, rimborso degli obbligazionisti subordinati con denaro
pubblico. Ma è davvero così? La parallela urgenza di ricapitalizzare
Unicredit, con una cifra monstre di 13 €mld, lascia supporre che la
vicenda MPS sia stata soltanto “congelata”, per impedire che la seconda
banca italiana fallisse la ricapitalizzazione. Nulla lascia supporre,
infatti, che la Commissione Europea e la Germania abbiano fatto marcia
indietro sul “bail-in” ed aspettino, come nel caso della legge di
bilancio, solo il momento opportuno per presentare il conto. L’Italia
vive il cruciale 2017 alla giornata, in balia degli eventi esterni.

MPS: salvataggio pubblico o occultamento di cadavere?

 La quotazione a Piazza Affari del Monte dei Paschi di Siena è eloquente: siamo ormai ai primi di febbraio, eppure la vicenda dell’istituto senese sembra essersi fermata agli ultimi giorni del 2016.
Il (presunto) dileguarsi del fondo d’investimento del Qatar, il
(prevedibile) fallimento del consorzio privato che avrebbe dovuto
garantire l’aumento di capitale da 5,5 €mld, l’improvvisa (e sospetta)
richiesta della BCE di iniettare 8,8 €mld per assicurare la
sopravvivenza dell’istituto, 3,3 €mld in più di quelli chiesti prima che
Renzi si dimettesse. A gennaio c’è stata ancora una nota di colore, con
le indiscrezioni sui grandi insolventi dell’istituto: i De Benedetti, i
Marcegaglia, gli ex-immobiliaristi rampanti ed altri avanzi del
rachitico capitalismo privato italiano. Poi, il silenzio.

Tra pochi giorni il decreto Salva-banche, che prevede la costituzione del fondo pubblico da 20 €mld
per la ricapitalizzazione di MPS e degli altri istituti in difficoltà,
sbarcherà in Senato per l’iter di approvazione. Considerato il silenzio
della stampa e della politica sulla vicenda di MPS, sarebbe normale
credere che tutto proceda secondo le linee annunciate dal governo
Gentiloni a fine dicembre: ricapitalizzazione preventiva dell’istituto senese (burden sharing) anziché risoluzione (bail-in), ingresso dello Stato come azionista di maggioranza, attorno al 50-60% del capitale, tutela dei piccoli obbligazionisti subordinati che, anziché partecipare al salvataggio della banca, sarebbero integralmente rimborsati dallo Stato. Bene, ma è davvero così?

Probabilmente no: è lecito avere più di un dubbio, soprattutto
alla luce degli ultimi avvenimenti in Italia ed in Europa e del sempre
più convulso quadro internazionale. Ci riferiamo, in particolare, alla procedura d’infrazione sul deficit in cui l’Italia sta incappando.

Corre l’autunno del 2016 quanto il premier Renzi, alle prese con la
campagna referendaria da cui dipendeva il futuro del governo,
dell’establishment italiano e dell’Unione Europea, confeziona una “manovra espansiva, non di rigore”: ci sono pochi dubbi, a Bruxelles come a Berlino, che l’Italia sforerà il rapporto deficit/Pil concordato in sede europea, ma è interesse di tutti tacere
in quel momento, per non indebolire Renzi e compromettere l’esito del
referendum. Trascorre un mese dalla consultazione del 4 dicembre e i
custodi del rigore presentano però il conto: la commissione europea
chiede un aggiustamento da 3,4 €mld, senza il quale l’Italia andrà incontro ad una procedura d’infrazione.
Poi la situazione politica si deteriora ulteriormente e si scopre che,
anziché aver strappato una “manovra espansiva”, l’Italia rischia
addirittura il commissariamento da parte della Troika: “Conti pubblici, la Ue vuole misure subito: Italia a rischio commissariamento” scrive Repubblica il 2 febbraio1, “Padoan: l’ipotesi di una procedura di infrazione Ue è estremamente allarmante” rilancia la Stampa2.

La stessa dinamica di cui è stata oggetto la legge
di bilancio (provvedimento che ignora i parametri europei, silenzio da
parte della commissione, improvviso intervento di Bruxelles e minaccia
finale di commissariamento) si verificherà quasi certamente tra poche
settimane, anche nel caso di Monte dei Paschi di Siena. L’anomalo
silenzio europeo sull’istituto senese è molto simile a quello che ha
avvolto la manovra finanziaria prima del referendum costituzionale dello
scorso dicembre.

Qualcuno ricorderà come nelle immediate settimane successive al
fallimento della ricapitalizzazione privata di MPS, si fosse acceso un acuto scontro tra Roma e Berlino,
sebbene se ne abbia avuto pochissima eco sui giornali italiani: da un
lato il governo Gentiloni premeva per la ricapitalizzazione preventiva
dell’istituto senese (burden sharing), con conseguente impiego massiccio
di denaro pubblico, dall’altro i falchi tedeschi ed i paladini del
rigore, consapevoli che MPS è un istituto insolvente e non
momentaneamente a corto di liquidità, chiedevano l’applicazione della
normativa del “bail-in” appena introdotta: risoluzione della banca, con
coinvolgimento di azionisti, obbligazionisti subordinati e correntisti
sopra i 100.000 €.

“Monte dei Paschi, la richiesta di Schäuble: si verifichi attentamente che Roma rispetti le regole” scrive il Fatto Quotidiano il 28 dicembre, “Monte dei Paschi bailout comes under fire in Berlin” titola il Financial Times, “Mps, aiuti Stato solo dopo bail-in secondo il portavoce di Dijsselbloem” riporta Reuters.
Sono gli stessi giorni in cui, tra l’altro, va in scena la strage al
mercatino di Natale di Berlino, da leggersi come l’ennesimo avvertimento
dei circoli atlantici lanciato a Berlino, affinché allenti la pressione
sull’europeriferia e scongiuri l’implosione della moneta unica/Unione
Europea.

Di fronte ai malumori tedeschi, il governo Gentiloni, proprio come
Renzi ai tempi della manovra fiscale, sceglie semplicemente di ignorare le obiezioni
sollevate da Berlino e dai falchi della commissione, procedendo con il
fondo Salva-banche da 20 €mld. Sempre come Renzi ai tempi della legge
fiscale, il governo Gentiloni può godere di un breve periodo di tregua,
sebbene i problemi con Berlino e Bruxelles siano tutt’altro che
risolti. Perché questa momentanea sospensione delle ostilità? Il motivo è
semplice: anche il governo Gentiloni va incontro ad un appuntamento cruciale, che non è più il referendum costituzionale del 4 dicembre, bensì l’aumento di capitale di Unicredit. 

Annunciando il salvataggio pubblico di MPS, in aperta violazione del bail in, Roma ha sostanzialmente guadagnato un paio di mesi, il
tempo necessario perché il decreto sia approvato dal Parlamento e
arrivi alle forche caudine di Bruxelles, dove difficilmente i falchi del
rigore approveranno l’impiego del fondo Salva-banche in aperta violazione del bail-in. Un paio di mesi, però, fondamentali perché seconda banca italiana, Unicredit, tenti la ricapitalizzazione.

Unicredit, unico istituto italiano con una “rilevanza sistemica”,
versa infatti in condizioni drammatiche: da ormai sei anni, proprio come
MPS, non fa che inghiottire il denaro degli azionisti con ritmi e volumi sempre più allarmanti. Si parte con la ricapitalizzazione del 2010, 4 € mld, poi la ricapitalizzazione del 2012, che quasi raddoppia e raggiunge i 7,5 €mld, poi la ricapitalizzazione in corso, la cifra monstre di 13 €mld. Nell’arco di sette anni si assiste ad una crescita quasi geometrica del fabbisogno di capitale, testimoniando lo stato critico in cui versa la banca.

L’istituto si appresta ora a chiedere al mercato una cifra pari all’80% della sua capitalizzazione di borsa, spazzando sostanzialmente via i suoi attuali azionisti, e lo fa dopo aver gravemente compromesso anche la sua futura capacità di generare utili.
Schiacciata infatti da 50 €mld di crediti in sofferenza e alla
disperata ricerca di capitale, Unicredit, sotto la “lungimirante” guida
di Jean Pierre Mustier (a suo tempo cacciato da Société Générale
dopo il buco miliardario prodotto dal trader Jérôme Kerviel che operava
alle sue dipendenze), ha infatti messo sul mercato gli ultimi pezzi
pregiati, quelli che garantivano una qualche redditività: Pioneer, Bank Pekao, Fineco. Unicredit sta per chiedere ai suoi azionisti di dissanguarsi, senza garantire alcun credibile ritorno al loro denaro.

Gli ultimi aumenti di capitali, quelli di Veneto Banca e della Popolare di Vicenza, si sono rivelati un fiasco, obbligando all’immediata costituzione del Fondo Atlante che,
tra l’altro, ha salvato anche la stessa Unicredit che, senza averne i
mezzi, avrebbe dovuto garantire la ricapitalizzazione dell’istituto
vicentino. 
Inoltre, il mercato dei capitali europei, come testimoniano i saldi di Target 2,
è sempre più disfunzionale e le banche “dell’area marco” prestano
sempre meno denaro all’europeriferia, sicure che una Italexit sia
ormai nell’ordine delle cose.

Supponiamo ora che MPS, anziché “essere congelata”, fosse
stata messa in risoluzione secondo la normativa del bail-in: quali
sarebbero state le probabilità che l’aumento di Unicredit andassero a
buon fine? La risposta è: zero. A
quel punto, si sarebbe materializzato lo scenario di una drammatica
crisi bancaria, con un epicentro nel secondo istituto italiano:
l’Italexit od il commissariamento da parte della Troika sarebbero stati
inevitabili.

     

Con il decreto Salva-banche il governo Gentiloni non ha quindi “salvato” MPS, ma solo comprato tempo: il tempo necessario ad Unicredit per tentare, tra il 6 febbraio ed il 10 marzo,
di racimolare 13 €mld in un contesto finanziario critico. Dopo, anche
ammesso che Gentiloni abbia più fortuna di Renzi e la ricapitalizzazione
di Unicredit vada a buon fine, i nodi verranno comunque al pettine:
questa volta la commissione europea non solleverà rilievi sulla legge di
bilancio, ma sul salvataggio di MPS in aperta violazione del bail-in e sul fondo Salva-banche che aumenta di altri 20 €mld il debito pubblico italiano, ormai oltre i livelli di guardia.

Si riaprirà quindi ancora il dilemma, ora apparentemente risolto: bail-in per MPS, commissariamento dell’Italia o Italexit?

Allora saremo già in primavera e la risposta ai patemi italiani
potrebbe arrivare da Oltralpe dove, tra aprile e maggio, si terranno le
presidenziali francesi da cui Marine Le Pen ha alte probabilità
di emergere vincitrice: a quel punto, l’eurozona sarebbe comunque
spacciata ed il governo italiano sarebbe sollevato dall’onere di
scegliere tra il commissariamento da parte della Troika o l’uscita
dall’euro.

Il
2017 si dipana, giorno dopo giorno, come “l’anno della frattura” ed il
nostro Paese, senza guida né strategia, vive alla giornata:
si congela il cadavere di MPS per salvare Unicredit, si tappa una falla
finché non se apre un’altra, si accantona un’emergenza per concentrarsi
su una più impellente. In attesa della grande onda che sommergerà la Seconda Repubblica.

NOTE

1http://www.repubblica.it/economia/2017/02/02/news/conti_pubblici_ue_italia-157404692/

2https://www.lastampa.it/2017/02/02/economia/padoan-lipotesi-di-una-procedura-di-infrazione-ue-estremamente-allarmante-V82gKUtGSOMqfwvRDkBdpI/pagina.html

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