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Di Maio, la coerenza e la Realpolitik

La volontà M5S di rimanere nell'alleanza occidentale, nel Patto atlantico, nella Ue e nell'euro, sono forse un tradimento e un esempio di incoerenza? In realtà, niente di nuovo sotto il sole.

Di Maio, la coerenza e la Realpolitik
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8 Aprile 2018 - 21.57


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di Simone Santini

 

Destano scandalo, in certi ambienti che hanno qualche rappresentanza sui social, molto meno nella società, le posizioni politiche che sta assumendo Luigi Di Maio. La cosiddetta “apertura” al Pd per la formazione di un nuovo governo e l’aver ribadito, nel messaggio all’uscita dalle consultazioni con il presidente Mattarella, la volontà di rimanere nell’alleanza occidentale, nel Patto atlantico, nella Ue e nell’euro, sono state salutate come un tradimento, l’ennesima giravolta, un esempio di magnifica incoerenza.

In realtà, niente di nuovo sotto il sole.

Durante la campagna elettorale Di Maio ha ripetuto, come un mantra, che in caso di mancata maggioranza avrebbe rivolto un appello a tutte le forze politiche (a tutti i gruppi parlamentari) per formare un governo a guida 5 stelle partendo dal suo programma ma raccordandolo con le altrui priorità. Dunque, Di Maio sta perfettamente rispettando il mandato elettorale nel momento in cui si rivolge alla Lega ed al Pd per instaurare un confronto da cui possa scaturire un accordo di governo sulla base di un contratto programmatico “alla tedesca”.

Nemmeno le pretese novità sulla linea politica (Nato, Ue, euro) sono nuove, anzi, erano state anche queste chiaramente espresse durante la campagna elettorale.

In più di una occasione Di Maio aveva ribadito di volere mantenere l’Italia all’interno delle alleanze politico-militari occidentali. Non per questo, in linea con quanto espresso nel programma elettorale, si dismette la volontà di aprirsi al multilateralismo, di cessare la russofobia imperante revocando le sanzioni a Mosca e ritirando l’Italia dalle esercitazioni militari in Europa orientale (e da altre missioni di guerra come in Afghanistan).

Nella visione complessiva del MoVimento, l’Italia dovrebbe riconquistarsi nel contesto internazionale il primato di grande mediatore diplomatico e di pace, ruolo che aveva già svolto, durante la guerra fredda, verso l’Urss o nel Mediterraneo. Un ruolo che si erano faticosamente ritagliati statisti come Andreotti, Moro, Craxi, che erano tuttavia legati a doppio filo con l’Occidente. Ruolo che lo stesso Berlusconi ha cercato di giocare, più recentemente, salvo poi tradire in maniera clamorosa gli interessi nazionali (si veda il caso Libia). Certamente non la stessa statura di un Aldo Moro che ha invece pagato con la vita quella sua visione da statista.

Circa le relazioni europee, il MoVimento non ha mai espresso la volontà di uscire dalla Ue (e nessun partito con un seguito di massa, nemmeno la Lega, ha mai sostenuto questa posizione), quanto semmai di voler ridiscutere profondamente le politiche europee, soprattutto quelle relative all’austerità, e laddove tali politiche fossero diretta conseguenza di norme dei Trattati, ridiscutere i Trattati. Solo in seguito al fallimento di tale confronto si potrà rivalutare la strategia. Si può ritenere questa linea politica velleitaria ma non si può tacciarla di incoerenza o gridare al tradimento. Essa è sempre stata delineata in maniera chiara.

Qualcosa di simile vale per l’euro. La posizione dei 5 stelle è sempre stata di considerare la moneta europea come tecnicamente sbagliata e di non essere stata adottata, previo ampio dibattito pubblico, col consenso formale degli italiani. Per questo si era evocata la possibilità di un referendum consultivo e si era proceduto con una raccolta firme per rafforzare la proposta e far diventare prioritario nell’opinione pubblica il dibattito sull’euro. Da lì, la linea politica si è evoluta, non è cambiata nei suoi fondamentali.

Di nuovo, nemmeno i responsabili economici della Lega, che è il partito di massa più euroscettico, sostiene che si debba (che si possa) uscire dall’euro domattina. Anzi, a meno di voler innescare una catastrofe, si prospettano una serie di passaggi preparatori necessari, ognuno dei quali positivo in sé per il sistema paese (come una forte banca pubblica, la creazione di monete alternative, ecc.), che all’esito definitivo potrebbero anche non portare all’uscita unilaterale dalla moneta unica. Tutto dipende dalle condizioni e dall’evolversi delle condizioni.

La linea del M5S, abbracciando totalmente un approccio di Realpolitik, è proprio quella di verificare e interagire con tali condizioni che dipendono da innumerevoli fattori economici, sociali, politici e soprattutto dai rapporti di forza internazionali. Solo un paio di anni fa le condizioni politiche erano diverse dalle attuali e vediamo sotto i nostri occhi quanto si modifichino in fretta. Approcciare tali questioni in senso dogmatico non condurrebbe ad alcun esito favorevole. Sarà una sfida e un confronto che richiederà enorme capacità politica. Si può pensare che la dirigenza pentastellata sia del tutto inadeguata per tale scopo, ma questo processo è stato ben spiegato in campagna elettorale e gli elettori in buona parte hanno dato loro fiducia. Dunque non è in corso alcun tradimento.

Il MoVimento Cinque Stelle è una forza politica post-ideologica. Una forza populista, nel senso alto del termine. Essa si muove costantemente nel perimetro politico del possibile. Non è una forza avventurista, né estremista, né antisistema. È una forza di cambiamento, anche radicale, ma non rivoluzionaria in senso classico. Siamo appena all’inizio di un percorso che si preannuncia lungo ed incerto. Tatticismi e strategie si alterneranno prima che questa fase si esaurisca e si potranno cominciare a dare alcuni giudizi perentori.

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