di Maria Giovanna Maglie
Steve Bannon l’8 marzo, a risultato elettorale fresco, incontrando in tutta riservatezza Matteo Salvini a Milano insieme a Thomas Williams, corrispondente da Roma, meglio dal Vaticano, di Breitbart news, glielo aveva detto con la brutalità che lo distingue, che faccia milioni di dollari con la finanza o a Hollywood, che coordini una campagna presidenziale vincente contro tutto e tutti.
Gli aveva detto che quando hanno un grande risultato elettorale due partiti antisistema ed establishment, al governo ci devono andare insieme. Che l’Italia potrà essere il grande volano della rivolta delle nazioni contro il giogo europeo. Che il risultato del 4 marzo in Italia è per importanza storica pari al referendum col quale gli inglesi hanno deciso di uscire dall’Unione, perfino superiore. Che l’Italia sarà il leader del populismo mondiale.
L’uomo è coinvolgente, immaginifico, convincente, gli interlocutori hanno ascoltato con attenzione ma non con convinzione. C’era in ballo anche la promessa di un rapporto finalmente e di nuovo più stretto col grande alleato che sta alla Casa Bianca? Certamente, oggi i rapporti sono inesistenti, l’esecutivo è considerato un cascame obamiano, il comportamento di Silvio Berlusconi una delusione cocente ma poi dimenticata.
È in grado Steve Bannon di svolgere quel ruolo di tramite e di contatto autorevole anche ora che non ha più alcun ruolo ufficiale, e dopo essere stato accompagnato bruscamente alla porta della West wing? Certamente, Donald Trump e Steve Bannon non hanno mai smesso di parlarsi, è solo che se sei un canaccio di battaglia non puoi lisciarti la pettinatura, infilare il doppio petto e stare alle regole ferree di Washington e ai bizantinismi della nomenclatura repubblicana.
La prossima settimana ci toccherà ancora assistere ai tentennamenti di un Quirinale che ha fatto inutilmente il gioco dell’oca per tornare alla posizione di partenza, che ha minacciato un governo neutrale e tecnico i cui componenti ad uno ad uno si sono poi gentilmente sottratti e negati al grido di “Grazie no, sto bene dove sto”, che ha buttato sul piatto la minaccia delle elezioni, salvo rendersi conto che fanno paura proprio al partito che gli sta più a cuore, he alla fine ha dovuto accettare il beau geste del nemico Silvio Berlusconi, e quindi si è pesantemente indebolito, checché ne dica la vulgata del corrispondente unico, ma non rinuncerà a rappresentare le ragioni europeiste.
Ci toccherà anche assistere ai mezzi veti di una Unione Europea e di un ex asse franco tedesco che, tra fine miserevole dell’accordo con l’Iran e la guerra del commercio e dei dazi incombente, ha tanti di quei guai da essere perlomeno distratta.
Ci sono perciò nella roulette della politica italiana motivi ragionevoli per credere che il sogno di Steve Bannon stia per avverarsi: due partiti anti-establishment al governo per dare una scossa a Bruxelles.
A Bannon piace soprattutto Matteo Salvini. Lo giudica un vero leader, che negli ultimi anni si è affinato è maturato, che ha fatto l’impresa di resuscitare la Lega e portarla ai numeri di oggi. Un tempo gli piaceva anche Silvio Berlusconi, ora ritiene Forza Italia un partito sbilanciato verso il pd, troppo vicino all’establishment europeo, come quei repubblicani americani che tali sono solo nel nome.
Bannon che fece un tour trionfale alla vigilia del voto italiano andando anche in Francia e tenendo un discorso a Zurigo al quale sono accorsi anche i rappresentanti dei paesi dell’Est europeo capitanati dal Ungheria di Orban, teorizza che lo scontro politico ed elettorale oramai non si giochi più tra sinistra e destra, categorie che ritiene abbondantemente superate, ma tra globalisti e nazionalpopulisti.
La rapidità con la quale l’Italia ha cambiato orientamento gli fa perciò credere che, dopo il successo di Brexit e di Trump, sia proprio qui il grimaldello per far fuori l’euro e l’Unione.
Soltanto due mesi fa alla platea del Fronte Nazionale in Francia aveva detto “lasciate che vi chiamino razzisti, nativisti, omofobici, islamofobi…Voi lottate per il vostro Paese e vi chiamano razzisti… lottate per la libertà e vi chiamano xenofobi… portate questi insulti come medaglie d’onore. I giorni in cui questi insulti funzionavano sono finiti. Noi diventiamo più forti, loro più deboli”.
Oggi i suoi collaboratori in Europa lo dichiarano vincitore. Nel vecchio continente come in America ha capito la tragedia del ceto medio vittima della globalizzazione, che gli ha succhiato guadagni e qualità della vita, da una parte, dall’altra vittima dei migranti che gli tolgono posti di lavoro. Al centro il grande colpevole, l’establishment, che si è preso un potere che ora va restituito ai cittadini. L’Unione Europea rappresenta l’establishment per eccellenza ed ingiustizia; con la Russia Bianca e anti Islam è possibile anzi necessario un rapporto privilegiato. Più chiaro di così.
La Chiesa di Bergoglio è un nemico giurato, sentimento fortemente ricambiato, basta leggere Civiltà Cattolica nella quale la sua viene definita “geopolitica apocalittica”, o chiedere al suo vaticanista di fiducia a Roma, Thomas Williams. Si conoscono dal 2003, Bannon coproduceva La Passione di Cristo di Mel Gibson, Williams era il consulente teologico.
Insomma, abbraccio mortale da uno di quegli sponsor che terrorizzano, o viatico al successo? Vedremo, aspettiamo il governo Bannon.
(10 maggio 2018)
Link articolo: Il governo Bannon fatto a Maglie