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Le prospettive europee e il crollo del M5S

Oltre agli aggiustamenti con la Lega, per il M5S sono irrimandabili riforme organizzative e strutturali interne, evidenti da alcuni anni ma che il formidabile 2018 aveva posto nell'ombra

Le prospettive europee e il crollo del M5S
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27 Maggio 2019 - 22.27


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di Simone Santini.

 
La composizione che si prospetta nel prossimo Parlamento europeo appare quanto mai problematica. Le due famiglie storiche, quella popolare e quella socialista, hanno perso la maggioranza. Solo il sostengo dei liberali del gruppo ALDE potrà fornire una maggioranza ai due gruppi maggiori, con l’appoggio o meno dei Verdi. Non è riuscito l’exploit di un’altra possibile maggioranza formata dai popolari con l’appoggio di tutti i gruppi considerati “eurocritici”, ovvero i conservatori, i cosiddetti sovranisti, e il gruppo espressione della democrazia diretta. In ogni caso la maggioranza che si andrà a comporre avrà al suo interno istanze diverse e specificità molto marcate.
La partita vera si giocherà all’interno della Commissione e del Consiglio. La Commissione in particolare è una sorta di motore delle istituzioni europee, ricoprendo il ruolo “esecutivo” ed il potere di iniziativa legislativa che deve essere poi reso effettivo da Consiglio e Parlamento. La Commissione non è però espressione diretta della maggioranza parlamentare, da cui riceve solo un voto di ratifica, ma dei governi nazionali. I commissari (i “ministri” europei) sono indicati dai governi di ogni Stato membro della Ue.
Due saranno i temi fondamentali che si dovranno vagliare in Europa: l’austerità sotto l’aspetto economico-finanziario e il controllo delle frontiere con la gestione delle immigrazioni. Avremo da un lato commissari espressione di Paesi come Spagna o Francia che avranno a cuore l’allentamento dei vincoli di Maastricht e una maggiore propensione all’accoglienza, dall’altra Paesi che vorranno tenere rigidi i cordoni dei conti pubblici e al contempo essere molto severi sul controllo dei confini. L’Italia sarà una sorta di ibrido, insieme ai Paesi mediterranei sotto l’aspetto economico, più allineata con i Paesi nordorientali sulla immigrazione. Anche all’interno di Commissione e Consiglio avremo dunque un panorama particolarmente disconnesso.
Il boccino sarà in mano alla Germania, le sue scelte saranno decisive. Si possono aprire a mio avviso due prospettive. Nel breve-medio periodo ci potrà essere un compromesso circa un allentamento dell’austerità contraccambiato da una rigidità sui temi delle migrazioni che porterebbe nel medio-lungo periodo ad una architettura europea di tipo confederativo con tematiche in comune come politica estera e di difesa ed una riappropriazione dei temi economici da parte degli Stati nazionali. Ma se la Germania e la sua area di influenza, trascinandosi dietro anche la Francia, si arroccherà sulla difesa strenua delle condizioni attuali, allora il frastagliamento dentro tutti gli organismi europei (Parlamento, Commissione, Consiglio) potrà portare a successive e sempre più profonde lacerazioni tali da divenire anche insanabili, mettendo in discussione la tenuta dell’intero assetto europeo.
Come si colloca l’Italia in questo quadro, alla luce dei riflessi sulle dinamiche interne del voto europeo? In un anno la tenuta del consenso alla maggioranza di governo è rimasta stabile in termini percentuali, o leggermente aumentata. È avvenuto invece un vero e proprio smottamento sul peso tra i due alleati di governo, con un ribaltamento completo dei rapporti di forza in termini di consenso politico. Questo porterà ad uno sconquasso nel governo? Forse no.
Dopo il 4 marzo 2018, nei mesi di trattative che portarono alla formazione del governo, i maggiori commentatori si chiedevano: accetterà mai Salvini di fare la ruota di scorta a Di Maio? Salvini accettò.
Ora il ragionamento è ribaltato, Di Maio accetterà il ridimensionamento politico del M5S verso una Lega che si sentirà parte trainante del governo?
La verità è che oggi, come un anno fa, le due forze hanno una forza politica paritaria, al di là dei numeri. Simul stabunt simul cadent, dicevano i latini. O stanno insieme o cadono insieme. I risultati elettorali odierni, al di là del trauma che possono rappresentare per il M5S, non mutano il quadro politico. Alternative non esistono a questo governo.
Il M5S non può cambiare maggioranza mettendosi col Pd, una alleanza fragilissima in termini numerici ed un suicidio in termini politici.
La Lega può pensare di andare all’incasso elettorale ma con mille incognite: difficilmente il Presidente della Repubblica concederebbe elezioni anticipate prima di un anno (e in un anno cambiano tante cose), ma anche se fosse, Salvini rischierebbe di trovarsi in una coalizione di governo di centrodestra che dovrebbe affrontare una congiuntura difficilissima.
Sarebbe Berlusconi per Salvini, allo stato attuale, nelle temperie europee che si prospettano, un alleato più digeribile di Di Maio? E se andasse al voto solo con l’alleato FdI, è così sicuro di ottenere la maggioranza o di non avere di nuovo bisogno del M5S per governare, come adesso?
Logica direbbe che sia M5S che Lega hanno ancora l’interesse di prolungare la vita del contratto di governo e affrontare insieme la partita europea e dei conti pubblici per questo ed il prossimo anno. Poi, si sa, spesso in politica la logica si scontra con mille fattori contingenti.
È dunque possibile che nulla cambi in Italia. Quel che dovrà cambiare è invece il M5S. Il monito che ha ricevuto dall’elettorato è severissimo. Il voto europeo è strutturalmente più ostico per il MoVimento rispetto alle politiche, con una astensione storicamente più alta che si concentra al sud, il bacino elettorale privilegiato dei cinquestelle. Ma l’esito più preoccupante non è arrivato dall’astensionismo del sud, ma dai risultati assolutamente modesti in tutto il nord (10-11%) e del centro (circa il 16%). Ed è proprio nel sud e isole che il MoVimento ha resistito.
Di Maio ed il gruppo che guida i cinquestelle ha commesso tutta una serie di errori lancinanti, spesso errori di comunicazione. Per otto-dieci mesi il MoVimento è sembrato lasciare il campo al proprio alleato, mostrandosi fin troppo conciliante e prudente, lasciandolo appropriarsi di alcune tematiche, come quelle sull’immigrazione e la sicurezza, che invece Di Maio avrebbe dovuto imputare e rivendicare come azione di governo nel suo complesso, non successi di Salvini. Poi, negli ultimi due mesi, Di Maio è sembrato improvvisamente scuotersi, quando era invece il momento di essere conciliante e rassicurante, per mostrarsi invece aggressivo, rissoso, divisivo. Questo atteggiamento ondivago con tempi sbagliati, ha scontentato e lasciato perplesso l’elettorato liquido del MoVimento, che ha trovato Salvini solido quando voleva un uomo forte e una direzione sicura del governo, e di nuovo un Salvini rassicurante ma fermo quando voleva coesione e stabilità.
Nel merito, poi, un paio di esempi su tutti: la sacrosanta manovra sul reddito di cittadinanza è passata per il cittadino comune del centronord come un sussidio ai fannulloni del sud; comunicativamente doveva invece essere venduta come una manovra per sostenere la spesa dal basso, a favore del piccolo commercio e della piccola impresa. Al cittadino comune doveva semmai arrivare il messaggio che i soldi del reddito non erano troppi, ma troppo pochi! Allo stesso modo, mentre per entrambi i partiti di governo è obiettivo prioritario l’abbassamento delle tasse, è passato mediamente il messaggio che la Lega volesse abbassarle drasticamente (con la proposta della flat tax) mentre il M5S fosse molto più prudente e attento ai conti pubblici.
Oltre agli aggiustamenti sui rapporti con la Lega, per il M5S si fanno irrimandabili alcune riforme organizzative e strutturali interne, già evidenti da alcuni anni ma che la formidabile vittoria del 2018 avevano posto nell’ombra. Da semplice attivista del MoVimento mi permetto di evidenziare alcuni suggerimenti, alla spicciolata.
Tutta la struttura di base dei meetup va quanto prima azzerata per fare posto ad una nuova democrazia assembleare territoriale, in collegamento con strutture di coordinamento certe a livello superiore (non più i fantomatici “staff”).
Il senso di comunità politica che ha saputo creare Beppe Grillo all’inizio del MoVimento è in buona parte esaurito. Va rinnovato e ricostituito con una nuova azione di proselitismo che rinfreschi e rinvigorisca la base.
Il blog e la rete sono, da soli, ormai ampiamente insufficienti. Il M5S deve dotarsi di una struttura comunicativa multimediale dentro cui un canale televisivo appare a mio avviso fondamentale. Si devono trovare nuove figure di riferimento e di attrazione: politici, comunicatori, artisti, che possano identificare la nuova stagione del MoVimento.
Pare che la Lega non chiederà un rimpasto di governo. Dovrebbero dunque essere i cinquestelle a proporlo. Così sostituire i propri ministri politici, che sono apparsi più deboli, con dei tecnici, e magari sostituire i tecnici con ministri politici: ad esempio un leghista all’Economia (Giorgetti?) così da far gravare anche sul Carroccio il gravoso peso della conduzione dei conti pubblici e un cinquestelle agli Esteri (Di Battista?) che tamponi le spinte neocon leghiste a vantaggio di rapporti multipolari.

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