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'L''Arabia Saudita pronta a negoziare'

In vista della conferenza sulla Siria (Ginevra 2) e dopo aver scaricato il Qatar, gli USA contano sulla più docile Arabia Saudita. Con alcune incognite [Thierry Meyssan]

'L''Arabia Saudita pronta a negoziare'
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5 Agosto 2013 - 22.58


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di Thierry Meyssan.

Gli Stati
Uniti hanno risolto i loro problemi interni prima della conferenza di Ginevra
2, poi hanno eliminato l”opposizione del Qatar. Da adesso s”affidano a quella
dell”Arabia Saudita. Tuttavia, osserva Thierry Meyssan, Riyadh sembra più
docile di Doha e propone un assestamento che le garantisca sia la sua
sopravvivenza sia una sua uscita a testa alta.

Dopo la
destituzione dell”emiro del Qatar da parte degli Stati Uniti e la sua
abdicazione in favore del figlio Tamim, la situazione in Nord Africa e in Medio
Oriente si è rapidamente evoluta. Con sorpresa di Washington, l”esercito
egiziano ha scelto questo momento per rovesciare il presidente Mohamed Morsi,
un Fratello musulmano sponsorizzato da Doha. Di conseguenza, la perdita del
sostegno del Qatar si è trasformata in una disfatta dei Fratelli che si sentono
minacciati anche in Tunisia, in Libia e a Gaza.

Washington
ha fatto «buon viso a cattivo gioco», considerando che in ogni caso,
controllava anche l”esercito egiziano e la maggior parte delle altre forze
politiche regionali. Sebbene il ritorno delle uniformi contraddica il discorso
sulla democratizzazione, si è presto adattata ai suoi nuovi interlocutori.

Il
Dipartimento di Stato sta dunque perseguendo il suo piano iniziale di una nuova
spartizione regionale con la Russia
. Tuttavia, l”attuale debolezza degli Stati
Uniti
è tale che stanno dando tempo al tempo. Mentre una pace giusta e duratura
passa attraverso uno sviluppo economico congiunto delle forze presenti, il
piano degli Stati Uniti si basa su una visione anacronistica della divisione in
zone di influenza, ispirata agli accordi franco-britannici Sykes-Picot (1916).

In questa
prospettiva, un presupposto del Dipartimento di Stato dai tempi di Madeleine
Albright è che non ci può essere pace in Palestina senza pace in Siria e
viceversa. Infatti, qualsiasi accordo con i palestinesi è immediatamente
rimesso in causa da gruppi dissidenti che lo sabotano, mentre la Siria
baathista rifiuta in linea di principio una pace separata. La sola soluzione è
dunque globale, tenendo la Siria quale responsabile per la forza di applicazione
dell”accordo.

John Kerry
è arrivato a costringere Israele e l”Autorità palestinese a sedersi al tavolo
delle trattative per nove mesi, vale a dire fino alle elezioni presidenziali
siriane. I primi contatti sono stati gelidi, ma il Dipartimento di Stato ritiene
di avere il tempo per riscaldarli e portare i suoi invitati a unirsi al
processo siriano di Ginevra 2. I negoziati sono condotti dal diplomatico
sionista Martin Indyk, che fu il consigliere sul Medio Oriente di Madeleine
Albright e Bill Clinton.

Allo stesso
tempo, John Kerry ha lasciato che l”Arabia Saudita riempisse il vuoto creato dalla
scomparsa del Qatar sulla scena internazionale. Le ha dato sei mesi per
risolvere i problemi regionali. In questo caso, quello dell”Arabia Saudita, non
è il re Abdullah, troppo occupato a sperimentare i suoi afrodisiaci, bensì il
principe Bandar bin Sultan con suo cognato, l”eterno ministro degli esteri da
38 anni, il Principe Saud.

Tuttavia,
alla luce di quanto è capitato all”emiro Hamad del Qatar, i due uomini hanno paura
di cadere in una trappola degli USA: consumarsi senza successo ed essere a loro
volta scartati dalla scena internazionale, il che segnerebbe l”inizio della
fine del regno.

Inoltre
occorre considerare con la massima attenzione il voltafaccia della loro
marionetta, lo sceicco Adnan al-Arur. In un programma televisivo, in onda il 31
luglio, il capo spirituale dell”Esercito Siriano Libero ha dichiarato di essere
stato costretto (da chi?) a prendere le armi contro Bashar al-Assad, nel
momento in cui la via militare non porta da nessuna parte. Ha deplorato che la «nobile
rivoluzione» sia diventata un «macello» e ha concluso che non vi si riconosceva
più.

Poche ore
dopo, il suo capo, il principe Bandar bin Sultan, è stato ricevuto a Mosca, non
solo dal suo omologo, ma dal presidente Vladimir Putin. Un laconico comunicato
è stato emesso poco dopo indicando che le discussioni si erano concentrate «su
una vasta gamma di questioni bilaterali e sulla situazione in Medio Oriente e
Nord Africa.» Il servizio stampa ha pubblicato una fotografia dell”accoglienza
da parte del Presidente e  una vecchia
fotografia del capo delle spie saudite, decisamente inaccessibile dopo
l”attentato di cui è stato oggetto nel luglio 2012 in risposta all”assassinio
dei capi militari siriani.

Tutto
avviene come se a Riyadh si mostrassero più ragionevoli di Doha e accettassero
il principio della conferenza di Ginevra 2. La loro rivendicazione si
accontenterebbe di un mantenimento di Bashar al-Assad in cambio di una vittoria
simbolica in Libano, con il ritorno al potere del loro simbolo, Saad al-Hariri.
Costui comporrebbe un governo di unità nazionale, che includerebbe il
“braccio politico” di Hezbollah, il che spiegherebbe la recente
decisione dell”Unione europea di distinguere le due branche in seno al Partito
di Dio.

Thierry Meyssan, 4 agosto 2013.

Traduzione a cura di Matzu Yagi.

 

Questa “cronaca settimanale di politica estera” appare simultaneamente in versione araba sul quotidiano “Tichreen” (Siria), in versione tedesca sulla “Neue Reinische Zeitung”, in lingua russa sulla “Komsomolskaja Pravda”, in inglese su “Information Clearing House”, in francese sul “Réseau Voltaire”.

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