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John Kerry non ha una politica, ma una tattica

'Oggi, ogni conflitto è legato all''altro, dall''Ucraina alla Siria. Washington non farà la guerra a Mosca, ma spingerà gli europei ad automutilarsi. [T. Meyssan]'

John Kerry non ha una politica, ma una tattica
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16 Marzo 2014 - 23.58


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«Sotto
i nostri occhi», cronaca di politica internazionale n°73

di
Thierry Meyssan

Nel
mondo globalizzato, ogni conflitto è legato all”altro. Pertanto,
quel che succede ora in Ucraina si riflette in altre regioni. Per
Thierry Meyssan, le rodomontate di Washington non sono destinate a
fare la guerra a Mosca, bensì a spingere gli europei ad
automutilarsi per il suo sommo profitto. Allo stesso modo,
l”abbandono del processo di Ginevra può essere un modo per far
cadere gli interessi sauditi e concentrarsi su una qualche
regolazione in Palestina

Il
Segretario di Stato John Kerry (qui durante il suo scalo a Roma) non
ha una politica predefinita. Prende l”iniziativa su tutti i temi, ma
non in modo da conseguire vittorie decisive, bensì al fine di
trovare occasioni per avanzare le sue pedine. Così, dopo aver
sostenuto il colpo di stato della CIA in Ucraina, si preoccupa ora
non tanto del futuro della Crimea, quanto di come potrà
avvantaggiarsi sul piano economico complessivo della sua sconfitta
politica locale.

Tre
eventi hanno appena sconvolto la scena internazionale: da un lato, la
crisi che oppone gli occidentali alla Russia in merito all”Ucraina,
dall”altro, la guerra segreta che gli Stati del Golfo hanno
dichiarato l”uno contro l”altro, e infine l”adozione da parte del
Consiglio del popolo siriano di una legge elettorale che esclude di
fatto la candidatura di cittadini fuggiti dal paese durante la
guerra.

Gli
Stati Uniti avevano previsto un quarto evento, una “rivoluzione
colorata” in Venezuela, ma l”opposizione non è riuscita a unire
a sé le classi popolari. Gli occorrerà buttare giù questa carta
più tardi.

Washington
vuole trasformare la sua sconfitta in Ucraina in una vittoria per la
sua l”economia

La
crisi in Ucraina è stata preparata e messa in opera dagli
occidentali, ha preso la forma di un colpo di stato sullo sfondo di
violenze da mostrare in televisione. La Russia ha risposto con
abilità, seguendo la strategia di Sun Tzu, prendendosi la Crimea
senza combattere e lasciando i problemi del paese, economici e
politici, ai suoi avversari. Nonostante le rodomontate di Bruxelles e
di Washington, gli occidentali non infliggeranno un secondo colpo e
non adotteranno alcuna sanzione economica significativa nei confronti
di Mosca: l”Unione europea esporta il 7% della propria produzione
verso la Russia (123 miliardi di euro in macchine utensili,
automobili, prodotti chimici…) e importa il 12% dei suoi beni (215
miliardi di euro principalmente in idrocarburi). Il Regno Unito, la
Germania, l”Italia, i Paesi Bassi, la Polonia e la Francia verrebbero
particolarmente colpite. La City è largamente finanziata da
patrimoni russi che stanno già evaporando, come indicato da una nota
interna di Downing Street fotografata dalla stampa britannica.
Aziende come BP, Shell, Eni, Volkswagen, Continental, Siemens,
Deutsche Telecom, Reiffsen, Unicredit e sicuramente molte altre,
verrebbero
affondate.
Negli Stati Uniti, la situazione è migliore, ma alcune
multinazionali, come la seconda impresa del paese, la Exxon, hanno
notevoli attività in Russia.

In
ogni caso, Washington sostiene un discorso assai vigoroso che la
obbligherà a reagire. Tutto avviene come se il colpo di Stato sia
stato preparato dalle figure radicali del regime (Victoria Nuland,
John McCain…) e abbia inizialmente imbarazzato il presidente Obama,
sebbene gli abbia offerto un”opportunità inaspettata per risolvere
la sua crisi economica a spese dei suoi alleati: i disordini in
Ucraina, se si generalizzano sul piano economico e politico in
Europa, spingeranno i capitali

attualmente basati sul

vecchio continente verso Wall Street. Questa sarebbe l”applicazione
sia della dottrina Wolfowitz del 1992 (impedire all”Unione europea di
diventare un potenziale concorrente degli Stati Uniti) sia della
teoria di Christina Romer, del 2009 (salvare l”economia USA
attraverso un assorbimento dei capitali europei come alla fine della
crisi del 1929). Ecco perché dovremmo aspettarci un gelo nelle
relazioni diplomatiche tra Washington e Mosca, almeno apparentemente,
e una forte recessione in Europa nel 2014.

In
queste condizioni, non si vede in che modo l”accordo sulla pace
generale nel Vicino Oriente potrebbe essere attuato, nel momento in
cui ogni pezzo della scacchiera stava per trovare il suo posto.
Intanto, il progetto di Ginevra 3 per la Siria è sospeso
sine
die
.
Mentre la “pace” israelo-palestinese, che aveva fatto passi
in avanti con il ritorno di Mohamed Dahlan, è stata silurata dalla
Lega Araba che si oppone – per ora – al riconoscimento di Israele
come “Stato ebraico”.

Fra
gli Stati del Golfo cӏ ora uno strappo sui Fratelli Musulmani

Un
altro elemento nuovo: la guerra segreta che ormai si sono scatenati
reciprocamente gli Stati del Golfo. Il Qatar ha appoggiato un
tentativo di colpo di stato dei Fratelli Musulmani negli Emirati a
novembre. Gli Emirati, l”Arabia Saudita e il Bahrain hanno appena
sospeso le loro relazioni diplomatiche con il Qatar, e i sauditi sono
stati i mandanti di un attentato a Doha. Il Qatar non sembra pronto
ad abbandonare i Fratelli Musulmani per il cui trionfo Washington
aveva organizzato le “primavere arabe”, prima di lasciarle
cadere.

La
politica degli Stati del Golfo è diventata un inverosimile ginepraio
nella misura in cui dei monarchi da operetta
mescolano
i loro interessi statali con le loro ambizioni personali e affinità
mondane.

Dimenticati gli anatemi tra il Servitore-delle-due-sante-moschee e la
Guida della rivoluzione iraniana, che negoziano la loro
riconciliazione, la lite del giorno ruota attorno ai Fratelli
Musulmani considerati non come una corrente ideologica, ma come una
carta da giocare.

La
Siria non vuole negoziare la pace con i sauditi

Il
terzo elemento di novità è l”approvazione, ritrasmessa alla
televisione, da parte del Consiglio del Popolo (Parlamento), della
prossima legge elettorale siriana. I deputati alla fine hanno
adottato una clausola secondo la quale i candidati alla presidenza
dovranno aver vissuto nel corso degli ultimi dieci anni nel paese.
Tale disposizione esclude di fatto i cittadini che sono fuggiti dalla
Siria durante la guerra.

L”inviato
speciale dei Segretari generali della Lega araba e delle Nazioni
Unite, Lakhdar Brahimi, ha immediatamente dichiarato che questa
scelta rischiava di mettere fine al processo di risoluzione negoziata
del conflitto. La Francia ha depositato un progetto di dichiarazione
del Consiglio di Sicurezza per rilanciare il processo di Ginevra.
Sebbene non vi sia alcuna menzione della nuova legge elettorale, è
l”ultimo tentativo occidentale di reputare la guerra in Siria come
una “rivoluzione” e di considerare la pace come un accordo
tra Damasco e un”opposizione fantoccio interamente nelle mani
dell”Arabia Saudita. L”ex portavoce del Consiglio nazionale siriano,
Basma Kodmani, che è stata allevata in un”ambasciata saudita, ha
assicurato che “il regime di Damasco” non sarebbe in grado
di tenere le elezioni presidenziali e ha proposto di prendere in
considerazione questo fallimento in piena guerra come la prova che si
tratti di una dittatura. La NATO potrebbe così tornare in scena e
farla finita con Bashar al-Assad, così come pianificato a partire
dal 2003 e nonostante le occasioni mancate dei “massacri”
del 2011 e del “bombardamento chimico” del 2013. Tuttavia,
dopo essersi riconciliata con Riyadh, attraverso l”organizzazione di
Ginevra 2 a propria discrezione, Washington si disinteressa
nuovamente dei collaboratori siriani dei sauditi.

Se
non c”è Ginevra 3, l”Occidente dovrà o attaccare la Siria (che non
è più possibile che prendere la Crimea, come si è già
sperimentato la scorsa estate), o lasciare marcire la situazione per
un decennio, o addirittura affermare che la “Rivoluzione” è
stata sequestrata dagli jihadisti e ammettere che la guerra è ormai
una questione anti-terroristica di interesse globale.

John
Kerry, che è un uomo d”affari prima di essere un diplomatico, non ha
una politica prestabilita, ma una tattica. Come al solito, Washington
non sceglierà una soluzione piuttosto che un”altra, ma farà ogni
sforzo per privilegiare un esito che gli risulti preferibile intanto
che si perseguono le altre opzioni, per ogni evenienza. Non potendo
più negoziare con la Russia, lo farà con l”altro alleato militare
della Siria, l”Iran. Da un anno in qua, il Dipartimento di Stato
discute con la Repubblica islamica, prima segretamente in Oman, e poi
ufficialmente con il nuovo presidente Rohani. Ma le cose si scontrano
con i khomeinisti per i quali con gli imperialisti non si parla, li
si combatte fino alla morte. Tenuto conto delle contraddizioni
interne dell”Iran, Washington ha moltiplicato le avanzate e le
ritirate per progredire meno velocemente del previsto.

Se
non vi è alcuna urgenza per gli Stati Uniti di risolvere la
questione siriana, è al contrario di vitale importanza garantire la
perpetuazione della colonizzazione ebraica della Palestina. A questo
proposito, l”Iran si è ricordato il Dipartimento di Stato: su suo
ordine, la Jihad islamica ha improvvisamente bombardato il confine
israeliano. Teheran, che era stata esclusa da Ginevra 2, si è
pertanto invitata a qualcosa di assai più importante: la trattativa
regionale. In questo spirito, il Senato USA terrà tra una decina di
giorni un”audizione sul tema “La Siria dopo Ginevra”. La
formulazione suggerisce che si sia messa una croce sopra sul
prosieguo di questa “conferenza di pace”. I senatori non
sentiranno gli esperti dei
think-tank
israeliani a Washington, come fanno di solito quando si tratta del
Vicino Oriente, ma la responsabile del fascicolo presso il
Dipartimento di Stato, il loro miglior stratega in materia di
guerriglia, e uno dei loro due principali esperti sull”Iran.

In
definitiva, la “pace” regionale, se dovesse mai accadere,
potrà essere solo nella maniera immaginata da John Kerry:
sacrificare il popolo palestinese anziché la colonia ebraica. Hassan
Nasrallah ha messo in guardia contro questa ingiustizia, ma chi si
opporrà quando i principali leader palestinesi hanno già tradito i
loro rappresentati?

Questa
“cronaca settimanale di politica estera” appare
simultaneamente in versione araba sul quotidiano
“Al-Watan”
(Siria), in versione tedesca sulla
“Neue
Reinische Zeitung”
, in lingua
russa sulla
“Komsomolskaja
Pravda”
, in inglese su
“Information Clearing House”,
in francese sul
“Réseau
Voltaire”
.

Thierry
Meyssan, 15 marzo 2014

Traduzione
a cura di
Matzu
Yagi
.

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