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La Francia e la Turchia contro i curdi

I media occidentali non riescono a spiegare le guerre che scuotono l’«Oriente complicato» perché rifiutano di riferirne a livello regionale. [Thierry Meyssan]

La Francia e la Turchia contro i curdi
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29 Novembre 2016 - 18.02


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«Sotto i nostri
occhi» – Cronaca di politica internazionale n°213

di Thierry Meyssan.

I media occidentali non riescono a spiegare
le guerre che scuotono l’«Oriente complicato» perché rifiutano di riferirne a
livello regionale. Anziché discutere se gli eventi in Siria siano una
rivoluzione, una guerra civile o un”aggressione, o se la repressione in Turchia
sia giustificata o meno, Thierry Meyssan offre un”altra lettura dei fatti
attraverso l”esempio dei curdi.

Nell’illustrazione in apertura: Il
curdo siriano Salih Muslim, collaboratore del presidente Erdoğan, ha condotto una
parte della sua comunità alla disfatta. Tenta ora di redimersi e su di lui
Ankara ha spiccato un mandato di cattura

DAMASCO (Siria) – I media occidentali trattano gli eventi del Vicino
Oriente affrontandoli Stato per Stato. I loro lettori, che ignorano la maggior
parte della storia di questa regione, non ne sono sorpresi, ma non riescono a
capire questo “Oriente complicato” in guerra perpetua.

Ora, il Medio Oriente non è in alcun modo paragonabile all’Europa per
esempio, ma piuttosto all”Africa, perché le sue frontiere non sono basate su
realtà geografiche, ma sugli accordi fra le potenze coloniali. Durante il
secolo scorso, gli Stati del Vicino Oriente hanno lavorato per rendere le loro
popolazioni dei veri Popoli. Alla fine, solo l”Egitto, la Siria e l”Iraq ci sono
riusciti.

Nel corso degli ultimi cinque anni, la stampa occidentale ha dunque trattato
di una presunta “rivoluzione democratica” in Tunisia, in Libia, in Egitto
e in Siria, di una cosiddetta “interferenza iraniana” in Bahrain,
Libano e Yemen e di “terrorismo” in Iraq. Al contrario, sul posto,
tutte le forze coinvolte, con la sola eccezione delle petro-dittature del
Golfo, hanno denunciato questa lettura degli eventi e hanno presentato un’interpretazione
regionale completamente diversa.

A titolo d’esempio, osserviamo la situazione dei curdi. Potrei anche qui spiegare
la situazione di Daesh, ma questo secondo esempio potrebbe essere ancora più
difficile da accettare per i miei lettori occidentali.

Secondo la stampa occidentale, i curdi vivono felicemente in Iraq, dove
hanno un”autonomia pressoché totale all”interno di un sistema federale felicemente
imposto dagli Stati Uniti. Combattono in Siria sia contro la dittatura alauita
della famiglia Assad e l’oppressione estremista sunnita di Daesh. E sono
eccessivamente repressi in Turchia. Tuttavia, essi formano un popolo che ha il
diritto ad avere uno Stato indipendente in Siria, ma non in Turchia.

Per i curdi stessi, la realtà è ben altra.

I curdi hanno una cultura comune, ma non la stessa lingua né la stessa
storia. In poche parole, quelli iracheni erano generalmente filo-USA durante la
Guerra Fredda, quelli di Turchia e Siria erano filo-sovietici. Preoccupati per
il forte sostegno popolare in Turchia per l”URSS, gli Stati Uniti dapprima
organizzarono un’emigrazione verso la Germania in modo che i turchi non fossero
tentati di rompere con la NATO, poi hanno incoraggiato la repressione dei curdi
del PKK. Durante la guerra civile degli anni ”80, i curdi turchi si rifugiarono
in Siria con il loro leader, Abdullah Öcalan, a centinaia di migliaia, e lì
ricevettero protezione. Nel 2011, presero la nazionalità siriana.

Ora veniamo al nocciolo della questione. Nessuno ha parlato di questione
curda durante la Prima Guerra di Siria, quella che mirava a estendere la
“primavera araba” usando le tecniche delle guerre di quarta
generazione. Tutto è iniziato lentamente a partire dalla Seconda Guerra di
Siria, che si è aperta con la Conferenza dei sedicenti “Amici della
Siria” a Parigi nel luglio 2012.

Le dichiarazioni dei dirigenti dei paesi della NATO lasciavano pensare che
la Repubblica araba siriana sarebbe stata presto rovesciata e che i Fratelli
Musulmani avrebbero preso il potere, come vi erano riusciti in Tunisia, Libia
ed Egitto. La Turchia ha pertanto invitato le popolazioni del Nord ad andare da
essa per mettersi al riparo dai soprassalti della “rivoluzione”. A
settembre fu nominato un “wali”, vale a dire un prefetto turco – ma il
termine risale al periodo ottomano ed evoca l”oppressione del Sultano – Veysel
Dalmaz. Sotto l’autorità diretta del primo ministro
Erdoğan, egli distribuì ai “rifugiati” miliardi di
dollari presi dal denaro delle petro-dittature.

All’epoca tutti videro il tentativo di indebolire la Siria, ma nessuno
capiva la motivazione alla base di questo trasferimento di popolazione. Eppure
una figura vicina all’ambasciatrice Samantha Powell, Kelly M. Greenhill, aveva
pubblicato un articolo accademico sulla Progettazione
strategica delle migrazioni come arma
che avrebbe dovuto svegliare
l’attenzione [1].

La Turchia costruì nuove città per ospitare i siriani, ma stranamente non le
consegnò loro. Sono tuttora vuote. Ankara cominciò a classificare i profughi in
base alle loro opinioni politiche e li mantenne sia nei campi dove potevano
ricevere un addestramento militare prima di essere inviati di nuovo a
combattere a casa loro, sia mescolandoli alla propria popolazione per
sfruttarli in questo caso sul lavoro.

Nel nord della Siria, le popolazioni rimanenti erano principalmente
cristiani, curdi e turcomanni. Questi ultimi passarono massicciamente a
servizio della Turchia e furono supervisionati da “lupi grigi”, vale
a dire da una milizia fascista creata nel 1968 per conto della NATO. Da parte
sua, Damasco creò milizie cristiane e curde per assicurare la sicurezza del
territorio. Per due anni, tutti i curdi siriani hanno combattuto sotto gli
ordini della Repubblica araba siriana.

Nel tradire Abdullah Öcallan – il fondatore del PKK – e i suoi fratelli
curdi, uno di loro, il siriano Salih Muslim si riconciliò con la Turchia, che pure
aveva massacrato una parte della sua famiglia negli anni ”80. Incontrò
segretamente i presidenti Erdoğan e Hollande, il 31 ottobre 2014 all”Eliseo, e fece
un patto con loro. La Francia e la Turchia si impegnarono a riconoscere uno
stato indipendente nel nord della Siria di cui sarebbe stato il presidente. In
cambio, avrebbe dovuto “ripulire” il terreno massacrando la sua
popolazione cristiana, così come altri curdi, un secolo fa, avevano massacrato
i cristiani per conto degli Ottomani. Poi avrebbe dovuto accettare l”espulsione
dei membri del PKK turco sul suo territorio allorché i rifugiati sunniti siriani
li avrebbero sostituiti nelle zone curde della Turchia.

Questo piano ha una lunga storia: era stato scritto da Ahmet Davutoğlu e il suo omologo francese Alain Juppé nel 2011, prima
dell”entrata in guerra della Turchia contro la Libia e prima degli eventi in
Siria. Era stato assunto pubblicamente dal Pentagono nel settembre 2013, quando
Robin Wright pubblicò sul New York Times
la mappa di questo futuro Stato e di quello che doveva diventare il Califfato di
Daesh. Questo primo Stato ben certamente sarebbe stato chiamato “Kurdistan”,
benché non si trovasse affatto sul territorio del Kurdistan storico, così come
specificato dalla Commissione King-Crane (1919) e riconosciuto dalla conferenza
di Sèvres (1920). Il secondo stato sarebbe stato chiamato “Sunnistan”
e si sarebbe trovato a cavallo tra Iraq e Siria, tagliando definitivamente la
“Via della Seta”.

Questo piano perseguiva gli obiettivi del sultano Abdülhamid II, dei Giovani Turchi e del trattato di Losanna (1923):
creare una Turchia esclusivamente sunnita ed espellere o massacrare tutte le
altre popolazioni. Ed è proprio per impedire questo piano e per condannare
coloro che ne avevano iniziato la realizzazione massacrando gli armeni e i greci
del Ponto che
Raphaël Lemkins creò il
concetto di “genocidio”; un concetto che si applica quindi oggi alle responsabilità
di Juppé & Hollande come a quelle di Davutoğlu e Erdoğan.

Si prega di non fraintendere ciò che scrivo: per quanto Parigi e Ankara
vogliano creare una Turchia esclusivamente sunnita, la maggior parte dei
sunniti vi si è opposta. È d’altronde per questo che stiamo assistendo a una
feroce repressione sia in Turchia che nel Califfato di Daesh.

Nel luglio 2015, il governo Erdoğan ha fatto
commettere a Daesh un attentato a Suruç (Turchia), uccidendo sia dei curdi che
degli aleviti – equivalenti locali degli alauiti siriani – che esprimevano il
loro sostegno alla Repubblica araba siriana. Abrogava così la tregua del 1999.
Allo stesso tempo, tagliava i viveri a una parte selezionata di profughi
siriani. Questo è stato l”inizio dell’esecuzione del piano da parte turca. Nonché
l”inizio della discesa della Turchia agli inferi.

Ad agosto, la Turchia ha spinto quei rifugiati siriani che non avevano più
risorse a fuggire verso l”Unione Europea. A ottobre, in Siria, gli uomini di Salih
Muslim hanno attaccato le comunità cristiane assire e hanno cercato di curdizzare
forzatamente le loro scuole, intanto che in Turchia l”AKP di Erdoğan devastava
128 sedi politiche del partito filo-curdo HDP e oltre 300 imprese gestite da
curdi. Le forze speciali turche hanno massacrato più di 2000 curdi turchi e hanno
parzialmente raso al suolo le città di Cizre e di Silopi. Se i nostri lettori
hanno seguito questi fatti man mano che accadevano, i media occidentali non li hanno
trattati mentre stanno appena iniziando, più di un anno dopo, a ricordare il
martirio di Cizre e Silopi.

Con l”aiuto di Mas’ud Barzani -il presidente “a vita” del Kurdistan iracheno –
Salih Muslim Kurdistan ha imposto la coscrizione obbligatoria dei giovani
soldati curdi siriani per ingrossare le sue truppe e far regnare il terrore.
Anche in questo caso, i media occidentali non ne hanno mai fatto cenno,
preferendo evo
care romanticamente la creazione dello Stato di Rojava.
Tuttavia, la stragrande maggioranza di questi giovani siriani si è ribellata e
si è unita alle Forze di Difesa siriane.

Nel settembre 2016, il presidente Erdoğan ha annunciato
che la Turchia avrebbe naturalizzato una parte dei profughi siriani che restano
nel suo paese: coloro che sostengono il progetto di una Turchia esclusivamente sunnita.
Offrirà loro gli appartamenti che ha costruito quattro anni fa e che sono in loro
attesa.

Preso come in una morsa tra le sue ambizioni personali e la solidarietà dei
suoi soldati con i propri fratelli turchi, il Collaboratore Salih Muslim si è rivoltato
contro Ankara, che ha emesso un mandato di arresto nei suoi confronti a
novembre. Dopo aver ricevuto il segretario generale della NATO, il Presidente
Erdoğan ha annunciato che sarebbe andato a
“rinegoziare” il Trattato di Losanna. Egli intende annettere delle
isole greche, il Nord di Cipro, parte della Siria e dell’Iraq, e creare nel
2023 il 17° impero turco-mongolo.

Già adesso, l’esercito turco si sta mangiucchiando la Siria (Jarabulus) e
l”Iraq (Bashiqa). Quando il primo ministro iracheno Haidar al-Abadi, ha messo
in guardia la Turchia di fronte a questo atto di guerra, il presidente Erdoğan ha
ribattuto con arroganza che non era “al suo livello” e gli ha
ordinato di “starsene al suo posto”. Sfidato due volte davanti al
Consiglio di Sicurezza, l”ambasciatore turco ed ex ministro degli Esteri
Feridun H.
Sinirlioğlu ha risposto che
il suo paese agisce per il bene delle popolazioni e che l”Iraq non deve dunque evocare
il diritto internazionale, né lamentarsi.

In un terreno di battaglia, si possono avere in definitiva solo due campi,
non tre. La guerra attuale oppone da un lato la Turchia, che intende dividere
le popolazioni per comunità e garantire la supremazia di una di esse su tutte le
altre. Dall’altro lato, la Repubblica araba siriana, che difende la pace e
l”uguaglianza mescolando le comunità.

In quale dei due campi vi collocate?

NOTA

[1] “Strategic Engineered Migration as a Weapon of War”, Kelly
M. Greenhill, Civil War Journal,
Volume 10, Issue 1, July 2008.

Thierry Meyssan, 29
novembre 2016

Traduzione a cura
di Matzu Yagi.

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