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Come Vladimir Putin ha ribaltato la strategia della NATO

Come una volta contro la Francia o la Germania, la sconfitta iniziale della Russia potrebbe essere la garanzia della sua vittoria finale [Thierry Meyssan]

Come Vladimir Putin ha ribaltato la strategia della NATO
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6 Dicembre 2014 - 23.56


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Come
Vladimir Putin ha ribaltato la strategia della NATO

«Sotto
i nostri occhi» – Cronaca di politica internazionale n°108

di
Thierry Meyssan
.

Nella
guerra economica che la NATO le sta sferrando contro, la Russia
reagisce come avrebbe fatto in una guerra convenzionale. Si è
lasciata colpire dalle sanzioni unilaterali per portare più
agevolmente il suo avversario sul terreno che ha scelto;
contemporaneamente, ha stipulato accordi con la Cina per
salvaguardare il proprio futuro e con la Turchia per squilibrare la
NATO. Come una volta contro la Francia o la Germania, la sua
sconfitta iniziale potrebbe essere la garanzia della sua vittoria
finale.

DAMASCO
– A Monaco di Baviera nel 2007, durante il vertice annuale sulla
sicurezza organizzato dalla Fondazione Bertelsmann e la NATO, il
presidente Vladimir Putin aveva sottolineato che l”interesse degli
europei occidentali non era più solo oltreoceano ma anche e
soprattutto con la Russia. Da allora ha continuato a cercare di
allacciare relazioni economiche, come la costruzione del gasdotto
North Stream sotto la guida dell”ex cancelliere tedesco Gerhard
Schröder. Da parte loro, gli Stati Uniti hanno fatto di tutto per
impedire questo avvicinamento, per esempio con l”organizzazione del
colpo di Stato di Kiev e il sabotaggio del gasdotto South Stream.

Secondo
la stampa filoatlantica, la Russia sarebbe stata pesantemente
danneggiata dalle “sanzioni” unilaterali − in realtà
operazioni di una guerra economica − prese in occasione
dell”annessione della Crimea alla federazione russa o della
distruzione del Boeing della Malaysia Airlines e dall’abbassamento
del prezzo del petrolio. Il rublo ha perso il 40% del suo valore, gli
inutili investimenti nel gasdotto South Stream sono costati 4,5
miliardi di dollari e l’embargo alimentare 8,7 miliardi: in
definitiva, assicura la stampa atlantista, oggi la Russia è in
rovina e politicamente isolata.

Invece
la stampa atlantista ignora le conseguenze di questa guerra economica
nell”Unione europea. Oltre al fatto che il divieto di esportazioni di
prodotti alimentari rischia di distruggere intere parti della sua
agricoltura, la rinuncia a South Stream peserà molto seriamente sul
futuro dell”Unione con l’aumento del prezzo dell”energia.

Il
ribasso della quotazione del rublo in rapporto al dollaro

Fonte:
Boursorama

Sembra
che la “sanzioni” unilaterali abbiano avuto l’imprevista
conseguenza della caduta dei prezzi del petrolio. Infatti questi
hanno cominciato a calare il 20 giugno,
ma si sono rilevate variazioni regolari solo alla fine di luglio,
durante le prime “sanzioni” economiche. Il prezzo del petrolio
non avrebbe alcuna relazione con la legge della domanda e
dell”offerta, ma − come in qualsiasi mercato finalizzato al lucro
in cui è presente un volume di capitali che vi speculano −
all”annuncio delle sanzioni lo spostamento dei capitali russi ha
accelerato il movimento. Inizialmente avevamo attribuito il calo del
prezzo del petrolio a un tentativo dell’Arabia Saudita di arginare
gli investimenti statunitensi nel gas di scisto e nel petrolio non
convenzionale, ma nel corso della riunione dell”OPEC è emerso che i
sauditi probabilmente non c’entravano niente. Tutto sommato, sembra
impossibile che il vassallo saudita speculi a danno del proprio
signore americano.

La
caduta del prezzo del petrolio

Fonte:
Boursorama

Comunque
sia, la Russia ha sorpreso Washington rovesciando la scacchiera
diplomatica: subito dopo il vicepresidente degli Stati Uniti Joe
Biden, Vladimir Putin è andato in Turchia − Stato membro della
NATO − per concludervi enormi accordi economici, che non solo
aggirano le sanzioni unilaterali dell”Alleanza ma la squilibrano
profondamente.

Oggi
la Turchia è un paese destinato a tornare una terribile dittatura.
Secondo il Dipartimento di Stato − comunque conciliante nei
confronti di un membro della NATO − Internet è censurato; il
governo ha abusato del suo potere per bloccare le indagini sulla
corruzione nei confronti dei suoi membri e delle loro famiglie; ha
punito i poliziotti e i magistrati che hanno condotto tali inchieste;
le minoranze non hanno diritti, escluse le tre indicate nel Trattato
di Losanna del 1923; il governo Erdoğan sta facendo centinaia di
prigionieri politici (soprattutto alti ufficiali colpevoli di aver
avuto rapporti con l”esercito cinese, politici dell”opposizione,
giornalisti e avvocati); la tortura è diffusa, gli arresti arbitrari
e gli omicidi impuniti sono innumerevoli.

Il
presidente Erdoğan si è fatto costruire il più grande palazzo del
mondo. L’ha fatto in un parco naturale, nonostante i tribunali
gliel’avessero proibito. Ed è costato ai contribuenti 615 milioni
di dollari.

La
deriva criminale dell’amministrazione Erdoğan è diventata uno dei
principali motivi di preoccupazione in seno alla NATO, dal momento
che la Turchia si sta rivelando essere anche un alleato riluttante.
Così continua ad aiutare gli jihadisti nella loro lotta contro il
popolo curdo (anche se a grande maggioranza sunnita) invece di unirsi
attivamente alla coalizione statunitense contro l”Emirato Islamico.
Questo è il motivo per cui il vicepresidente Joe Biden si è recato
il 22 novembre ad Ankara, evidentemente per ammonire il presidente
Erdoğan di rientrare nei ranghi americani.

Orbene,
il primo dicembre 2014 Vladimir Putin è andato ugualmente ad Ankara.
Distinguendo le questioni economiche da quelle politiche, ha
presentato un”offerta preparata a lungo: un’alleanza economica
senza precedenti tra le due nazioni. Comprendendo che questa inattesa
offerta era l”unica via d”uscita davanti a Washington, il presidente
Erdoğan ha firmato tutti i documenti preparati dai russi. Ha
accettato il rafforzamento del gasdotto sottomarino che collega il
suo paese alla Russia attraverso il Mar Nero; ha comprato a un buon
prezzo il gas russo e anche centrali nucleari civili per alimentare
la sua industria; ha consegnato i suoi prodotti agricoli alla Russia
nonostante l”embargo di tutti gli altri Stati atlantici; eccetera.

Per
la NATO, il problema turco si trasforma in un incubo.

Vladimir
Putin non ha certo cambiato idea su Recep Tayyip Erdoğan: un piccolo
criminale che si è unito ai Fratelli Musulmani, è stato spinto al
potere con l”aiuto della CIA e che oggi si comporta come un vero e
proprio boss mafioso. Ma il presidente russo è abituato a trattare
con oligarchi o capi di Stato dell’Asia centrale che non sono
meglio; lui stesso ha raggiunto il Cremlino infiltrandosi
nell’entourage di Boris Eltsin e Boris Berezovsky.


Da parte sua, Erdoğan
sa che deve il proprio potere alla NATO, la quale ora gli chiede di
renderne conto. Lui non ha alcun problema a fare la spaccata: alleato
di Washington in politica e di Mosca in economia, sa che nessuno
Stato è mai potuto uscire dell”Alleanza ma immagina di rimanere al
potere con questo doppio gioco.

Osserviamo
ora la strategia di Vladimir Putin.

La
potenza degli Stati Uniti si trova sia nella loro valuta, che
impongono al resto del mondo attraverso il controllo del mercato del
petrolio, sia nel loro esercito.

La
NATO ha appena lanciato una guerra economica contro la Russia. Ai
fini della propaganda, maschera i suoi attacchi con il termine
“sanzioni”. Eppure le sanzioni presupporrebbero una messa in
stato d”accusa, un processo e una sentenza. Non in questo caso. Le
“sanzioni” più importanti sono perfino state decise dopo la
distruzione di un aereo civile in Ucraina, mentre − con ogni
probabilità − è stato abbattuto dalle nuove autorità di Kiev.

In
risposta, Vladimir Putin ha prima fatto oscillare il futuro del suo
paese dall”Europa occidentale all”Estremo Oriente firmando i più
importanti contratti della storia con i suoi partner cinesi, poi ha
usato la Turchia contro la NATO per aggirare la “sanzioni”
commerciali occidentali. Sia con la Cina o con la Turchia, la Russia
vende la sua energia in valuta locale o tramite baratto, mai in
dollari.

Gli
esperti russi hanno calcolato che Washington interverrebbe se il
prezzo del petrolio si mantenesse per più di sei mesi a un prezzo
inferiore a 60 dollari al barile. Due mesi fa, il governatore della
banca centrale russa, Elvira S. Nabiullina, ha testimoniato davanti
alla Duma di essere preparata a questo scenario, possedendo la sua
istituzione riserve sufficienti.

Perciò,
se per il momento la Russia è gravemente colpita dall’attacco
economico della NATO, la situazione potrebbe capovolgersi in sei
mesi. Per mantenere il suo dominio sul mondo, Washington sarebbe
allora costretta a intervenire per far risalire i prezzi del
petrolio, ma intanto questa guerra avrà suggellato insieme l”Unione
Europea e la NATO, mentre la Russia avrà trasferito la sua economia
sul versante del suo alleato cinese.

In
ultima analisi, la Russia agisce qui come ha sempre fatto. Un tempo,
quando la Francia di Napoleone o la Germania di Adolf Hitler la
invadevano, usava la “strategia della terra bruciata”:
distruggeva le sue stesse risorse invece delle truppe nemiche e non
smetteva di indietreggiare verso l’Estremo Oriente, ma poi
ritornava contro gli invasori ormai stremati da una penetrazione per
loro troppo lunga.



Questa
“cronaca settimanale di politica estera” appare
simultaneamente in versione araba sul quotidiano
“Al-Watan”(Siria),
in versione tedesca sulla 
“Neue
Reinische Zeitung”
, in lingua
russa sulla 
“Komsomolskaja
Pravda”
, in inglese
su
“Information Clearing House”,
in francese sul 
“Réseau
Voltaire”
.


Thierry
Meyssan, 6 dicembre 2014.


Traduzione
a cura di Emilio M. Piano
.

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