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L'Europa contesa e il futuro dell'Euro

L’Europa aumenta la propria insofferenza verso l’influenza americana, sempre più vissuta come coercitiva, e diventa così teatro di contese e rivalità geopolitiche.

L'Europa contesa e il futuro dell'Euro
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25 Febbraio 2016 - 22.58


ATF

di
Enrico Ferrini
.

Lacerata da crescenti divergenze
economiche e dispute fra paesi membri, l’Europa aumenta la propria insofferenza
verso l’influenza americana, sempre più vissuta come coercitiva, e diventa così
teatro di contese e rivalità geopolitiche di fondamentale importanza. In questo
contesto l’Europa rappresenta l’ago della bilancia che potrebbe far pendere da
una parte o dall’altra gli equilibri di potere, tanto da rappresentare
presumibilmente per gli Stati Uniti la più grave “minaccia”.

Di fronte alla prospettiva di una
Europa a guida tedesca e disallineata che possa contribuire al materializzarsi
dei peggiori incubi geopolitici d’oltreoceano, la formazione di un asse
eurasiatico e il superamento del
dollar standard, gli Usa potrebbero plausibilmente
innescare, avendone i mezzi, la crisi definitiva dell’euro, determinando però
uno scenario i cui risvolti sono imprevedibili e non necessariamente a
vantaggio esclusivo degli Stati Uniti.

L’Italia in particolare rischia di
ritrovarsi ad essere il fulcro della contesa fra i principali blocchi
geopolitici e della stessa tenuta dell’unione monetaria
.

.

Nel nuovo caotico
contesto geopolitico, caratterizzato da un incipiente multipolarismo che si articola su veri e propri fronti di guerra, alleanze ed accordi
commerciali, la chiave di lettura che sembra riportare il tutto a un certo
quadro di coerenza andrebbe ritrovata nella strategia americana di contrasto alla formazione di un asse
eurasiatico
. Il progetto di integrazione economica, infrastrutturale ed
energetica fra UE, Russia e Cina inerente alle cosiddette “Nuove Vie della Seta” rappresenta una eresia geopolitica ben
radicata nel pensiero strategico anglosassone [1] e
che ha prodotto la decisa reazione a cui stiamo assistendo nelle sue varie
emanazioni.

La
missione politica e militare
dell’America nell’era post guerra fredda è stata quella di
assicurare che nessuna potenza rivale
potesse emergere

in Europa ed in Asia.

Questo è quanto
riportato nel documento di 46 pagine (le cui ambizioni egemoniche confluirono
successivamente nel Project For a New
American Century
PNAC) redatto
dal Dipartimento della Difesa sotto la supervisione di Paul Wolfowitz, di cui rendeva conto il New York Times in un articolo del 1992 [2].

In esso si sostiene
la necessità di «convincere i potenziali rivali a non aspirare a un più
importante ruolo o ad una postura più aggressiva nel proteggere i loro
legittimi interessi». Per perpetuare questo ruolo, gli Stati Uniti dovevano «tenere
sufficientemente conto degli interessi delle nazioni industriali avanzate per
scoraggiarle dallo sfidare la nostra leadership e cercare di rovesciare
l”ordine politico ed economico stabilito».

Giacché, come spiegava anche Zbignew Brzezinski nel suo La Grande Scacchiera del 1998, il
primato globale dell’America è direttamente legato alla sua supremazia nel continente eurasiatico,
se la presa americana in terra eurasiana si allentasse, la sua egemonia sarebbe
in pericolo.

Il ragionamento strategico americano
ha dunque come obbiettivo fondamentale ostacolare
ogni sostanziale tentativo di integrazione fra gli stati fondamentali europei e
la Russia
, facendo retrocedere quest’ultima e mantenendo l’Europa in una
condizione di subordinazione e come testa di ponte americana in Eurasia. 

L’Europa, tormentata dalla crisi e dallo spettro della fine del sogno
unitario, è dunque la pedina
fondamentale di questo gioco. Frustrata nella propria volontà di guardare ai
propri interessi e di ritagliarsi un ruolo autonomo nelle dinamiche aperte di
un mondo in piena trasformazione, aumenta la propria insofferenza verso gli
Stati Uniti, a cui è vincolata da forti legami economici e militari.

Un Europa fragile ma fondamentale nella partita geopolitica
mondiale

L’evoluzione della crisi ha dimostrato
come gli Stati dell’Unione Europea, soprattutto quelli della
periferia, siano subordinati non solo al capitale finanziario internazionale,
ma anche alla potenza egemonica europea, la Germania.  

Come ha argomentato l’economista Paolo Savona [3], la
Germania sta gettando le basi economiche per un Quarto Reich o, per
metterla come lo storico francese Emmanuel
Todd
, la strategia tedesca è quella di “sottomettere”
gli stati indebitati del Sud
, integrare le economia dell’Est Europa nel
proprio sistema produttivo e riservare qualche briciola al sistema bancario francese.

Mossa da una
crescente idea di sé e da una rappresentazione diminutiva della potenza russa,
l’appoggio della Germania guidata da Angela
Merkel
all’offensiva antirussa
sarebbe invece da leggere come il tentativo di mettere in difficoltà Mosca ed
estendere la propria influenza sul paese confinante ricco di risorse
energetiche (è con la Cina il vero
asse).

Tant’è che l’ossessione dei falchi
americani per la Russia, determinata anche da anni di militanza anti comunista
nella guerra fredda, non ha fatto percepire la rinascita di un “impero”
tedesco, tale da permettere il compimento di una versione B dell’incubo
americano di una riunificazione eurasiatica.

La sostanziale neutralità nei
conflitti in Libia e Medio Oriente, la realizzazione del gasdotto North
Stream
ed il progetto per il suo raddoppio, le resistenze sul trattato transatlantico di libero
scambio, così come il ruolo da mediatore assunto dalla cancelliera Merkel nel contenzioso ucraino, sono
evidenti segnali di una crescente insofferenza tedesca verso l’influenza
statunitense in Europa. I casi Volkswagen
e Deutsche Bank sono con molta probabilità degli attacchi
al
cuore industriale e
finanziario della Germania
lanciati da oltreoceano a scopo intimidatorio.

In
questa strategia l’Italia svolge un ruolo strumentale di primaria importanza
. Il malcontento
italiano per il trattamento iniquo riservatoci su vari questioni, dai
salvataggi bancari ai vincoli di bilancio, dagli immigrati ai gasdotti, viene
strumentalizzato dagli USA in funzione anti tedesca. Il veto italiano posto
legittimamente al raddoppio del North Stream, che farebbe transitare dalla
Germania tutto il gas russo diretto in Europa, è stato funzionale agli
interessi americani, specie se contestualizzato al rifiuto espresso da Matteo Renzi di far partecipare ENI al
consorzio per la sua realizzazione [4]
e al mancato rilancio del South Stream che invece avrebbe fatto dell’Italia un hub strategico per il Sud Europa.

La situazione dell’Italia è
estremamente delicata e la sua condotta rischia di scontentare non solo i
tedeschi, che vedono nell’Italia l’espressione dell’interesse americano, ma
anche i nostri più forti alleati oltreoceano che richiedono totale obbedienza e con tutta
probabilità non gradiscono le iniziative
filorusse di Renzi
per la revoca delle sanzioni, né quelle rivolte alla stabilizzazione
della Libia con il coinvolgimento della Russia [5],
trovata che ha infastidito anche i francesi che continuano a perseguire le loro
ambizioni
[6] neocolonialiste in
Nord Africa. Tant’è che Giulio Sapelli
parla di inizio della “campagna d’Italia” con riferimento ad una sempre
maggiore convergenza tra Francia e Germania in funzione anti-italiana
[7].

L’Italia rischia di ritrovarsi ad
essere il fulcro della contesa fra i principali blocchi geopolitici e della
stessa tenuta dell’unione monetaria. In questo senso è lo strumento prediletto
degli Stati Uniti per annichilire un’Europa
disallineata
che vedono potenzialmente come la più grave minaccia sia per la sua tendenza all’integrazione con
il blocco rivale, sia per il superamento
del sistema del dollaro
. 

«L’unica
entità in grado di sfidare gli Stati Uniti nel prossimo futuro è l’Unione
europea
» sosteneva il docente ed ex funzionario Joseph Nye [8].
«Chi assomiglia maggiormente a un
avversario paritetico degli Stati Uniti all’inizio del XXI secolo, è l’Unione Europea»
e la ragione di un suo allontanamento dagli Stati Uniti è «la mancanza di una
minaccia comune
».

Sempre secondo Nye tanto più l’atteggiamento degli USA sarà
arrogante e unilaterale, tanto più l’Europa vorrà ridurre il suo gap
soprattutto dal punto di vista militare e non concederà il supporto necessario
alla politica estera statunitense.

L’Unione Europea costituisce la
prima economia industriale del pianeta ed è centrale come polo tecnologico,
oltre ad avere la rete più potente e sviluppata di PMI ad alta tecnologia. La
relativa stabilità politica e l’esistenza di mercati finanziari aperti e ben sviluppati,
nonché l’esistenza di un vasto mercato interno da 500 milioni di consumatori,
farebbero della sua moneta un pilastro
fondamentale di un nuovo ordine monetario
basato su un paniere di valute,
dal momento che i BRICS non hanno ancora da soli la capacità di determinare un simile
cambiamento sistemico.

Il ruolo centrale del dollaro nel
sistema monetario è il vero tallone d’Achille dell’impero americano ed è lì che
probabilmente i nuovi rivali punteranno per minarne le fondamenta. La
ricostituzione delle riserve auree da parte di Cina e Russia, la creazione della Banca Asiatica per le Infrastrutture e gli Investimenti (AIIB)
e la Nuova Via della Seta [9]
sono iniziative che sfidano apertamente la capacità
americana di determinare le regole economiche internazionali e il sistema del
dollaro, creando nuove aree di cooperazione economica che esulano da esso
[10].

Alla luce
delle occasionali convergenze economiche
e politiche
dei paesi europei con il blocco emergente, l’UE e l’Euro potrebbero essere attori centrali nel ridimensionamento del
predominio finanziario degli Stati Uniti nella costruzione del continente
euroasiatico che sarà attraversato da moderne vie della seta.

I sostenitori dell’impostazione geopolitica
di “vecchio” stampo anglosassone che
sembrano guidare la politica estera a stelle e strisce, potrebbero
plausibilmente determinare, avendone i mezzi, lo sgretolamento dell’Euro qualora un’Europa disallineata e a guida
tedesca contribuisse a materializzare i loro peggiori incubi geopolitici.

Una dissoluzione incontrollata dell’Euro determinerebbe un collasso
devastante
dei mercati di tutti i suoi paesi membri, Germania inclusa, la quale
verrebbe così colpita nelle principali criticità della sua
economia: fragilità del sistema bancario
[11] e dipendenza dalle esportazioni [12].

L’Europa verrebbe catapultata ad una
situazione politica paragonabile a quella degli anni Trenta, con la conseguente
recrudescenza di vecchie ostilità ed
egoismi
che già oggi si vedono riemergere. Paradossalmente quindi, la fine
dell’Euro potrebbe essere determinata non tanto dalla sua debolezza quanto
piuttosto dalla sua forza minacciosa agli occhi degli USA.

I risvolti di un simile scenario
sono imprevedibili e non è probabile che vadano a vantaggio esclusivo degli
Stati Uniti.

—-

Enrico
Ferrini – @Enry Ferro  (FB & Twitter)

NOTE



[1]
L’approccio geopolitico anglosassone si fonda sul dualismo tra la civiltà del
mare e quella della terra, il cui concetto è stato sviluppato dalla prima metà
del XX secolo dall’inglese Halford
Mackinder
e ripreso dagli strateghi statunitensi Nicholas Spykman e
Zbigniew Brzezinski. La Russia è il nucleo della civiltà della terra,
l’Eurasia. Ecco perché è condannata a secoli di lotta contro il mondo
anglosassone. Il nucleo di esso una volta era l’impero inglese e dalla seconda
metà del XX secolo sono gli Stati Uniti. Così gli eurasisti sono gli avversari
dell’egemonia occidentale e gli oppositori dell’espansione statunitense.

[5]
Conferenza sul Mediterraneo organizzata da ISPI e Ministero degli Esteri a
Dicembre 2015.

[6]
La Francia ha mandato “clandestinamente” (ma in accordo con Washington e
Londra) reparti speciali dell’esercito e dei servizi segreti a sostenere contro
l’ISIS le truppe libiche di Haftar, già arruolato negli anni Ottanta dagli USA
nel tentativo di rovesciare il regime di Gheddafi e riportato in Libia nel 2011
con cittadinanza americana per dare un leader all’insurrezione contro Gheddafi.
Gli inglesi e i francesi puntano ad instaurare un protettorato sulla Libia
spartendosi i giacimenti offshore di
gas ed i pozzi di petrolio.

[8]
Joseph Nye è docente alla Kennedy School of Government di Harvard ed è stato a
capo del National Intelligence Council durante l’amministrazione Clinton. Fonte: http://www.centroriformastato.it/percorso-di-lettura-leuropa-vista-dallamerica

[9]
La AIIB, come anche la New Development
Bank
dei BRICS, si pone come chiara alternativa alla Banca Mondiale ed
al FMI, con il proposito di marcare nettamente la differenza con le politiche
del Washington Consensus,
concentrandosi invece sullo sviluppo infrastrutturale: è destinata a finanziare
l’ambiziosa rete ferroviaria ad alta velocità della Cintura economica della
Nuova Via della Seta dall’Eurasia all’UE.

La forza della proposta
cinese è stata tale che ad essa hanno aderito non solo la maggioranza dei paesi
asiatici ma anche i principali paesi europei, compresa la Gran Bretagna.

A questa prima mossa del
governo cinese si è accompagnato il lancio dell’ambiziosissimo progetto di una
“Nuova Via della Seta” volta a legare Asia ed Europa con poderosi investimenti
sia nella via marittima che in quella terrestre.

[10]
Sono in molti oggi fra i paesi emergenti e non ad auspicare una riforma del
sistema monetario che si fondi su una nuova moneta internazionale gestita dal
FMI basata su un paniere di valute, come indicavano a suo tempo gli stessi
Triffin e Keynes. Il compimento di tale transizione è osteggiato dagli Stati
Uniti e richiederebbe un grado di cooperazione internazionale che non sembra
essere alla portata viste le dinamiche internazionali.

Come conseguenza stiamo
assistendo negli ultimi anni, e specialmente dopo la crisi ucraina, ad un
progressivo allontanamento dal dollaro che si esprime sia in termini di
diversificazione delle riserve valutarie, con particolare enfasi sulla
ricostituzione delle riserve auree, che attraverso la creazione, come già
visto, di aree economiche alternative ed organismi sovranazionali che esulano
dall’utilizzo del biglietto verde. (L’oro come asset strategico in un contesto di guerre valutarie, Enrico Ferrini.
Sul numero di Geopolitica  dell’Isag “La crisi finanziaria e il nuovo
ordine economico mondiale”

[11] Spicca
il caso della Deutsche Bank, che
ha una esposizione a titoli derivati di ben 55 trilioni di euro, equivalenti a
100 volte i depositi bancari e 5 volte il PIL europeo . (Zerohedge)

[12] “Germany and the Euroland
Crisis: The Making of a Vulnerable Haven” – Levy Institute. “In case of a euro
breakup, swift appreciation of the new deutschmark would abruptly worsen German
competitiveness and the German economy would crater as a result”  http://www.levyinstitute.org/pubs/wp_767.pdf.

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