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Pronto? Qui parla la comunità

Reportage: Una tecnologia semplice, un piccolo investimento. È nato in una piccola comunità in Messico il primo sistema di telefonia cellulare con criteri comunitari.

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13 Ottobre 2013 - 22.35


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di Valentina Valle Baroz.

Una tecnologia alla portata di tutti, con un investimento di
poco meno di 23 mila dollari, che la gente di Villa Talea de Castro si
auto-restituirà a poco a poco. È nato in una piccola comunità indigena
della Sierra Negra di Oaxaca, Messico, il primo sistema di telefonia
cellulare realizzato e gestito con risorse e criteri comunitari. Un
reportage di Comune-info racconta come, con l’aiuto di un ragazzo
arrivato da Philadelphia e due sistemisti ventottenni di Genova, un
villaggio zapoteco abbia cominciato a vivere in un mondo diverso. La
legge messicana nega i ripetitori ai centri con meno di cinquemila
abitanti, così a Villa talea de Castro hanno fatto da soli, senza
aspettare i miracoli tecnologici delle imprese transnazionali e la
beneficenza dello Stato. Loro sanno, spiega Valentina Valle Baroz, che
nessun ultimo ritrovato della tecnica sarà mai abbastanza “ultimo” e
abbastanza potente da riconnettere realmente chi ha perso la capacità di
parlarsi e di ascoltarsi
.

Arriviamo a Villa Talea de Castro alle
quattro del pomeriggio, dopo che il vecchio scuolabus statunitense s’è
arrampicato per cinque ore su cento chilometri di curve e smottamenti.
Nella Sierra attorno a Oaxaca gli spostamenti prendono tempo, le
strade sono malconce e solo i turisti possono permettersi il lusso di
viaggiare per la sola ragione di fare un viaggio. La ragione che muove
noi, invece, si legge sullo schermo del cellulare quando entriamo in
centro al paese: “Benvenuto alla rete cellulare di Talea. Per
registrarti vai alla radio con questo messaggio”.

Da quando, nel marzo scorso, il progetto di Pedro, un trentenne
originario di Philadelphia, è diventato realtà, questa storia ha fatto
il giro del Messico, e del mondo. Si tratta del primo sistema di
telefonia cellulare interamente realizzato e gestito con risorse e
criteri comunitari. Hanno parlato di innovazione tecnologica, sfida al
monopolio, qualcuno l’ha persino chiamato miracolo. In realtà, Pedro ha
solo ascoltato le esigenze delle comunità zapoteche della Sierra Negra,
quelle che per anni si sono viste rifiutare i ripetitori di Telcel e
Moviestar perché popolate da un numero di abitanti inferiore a 5mila, e
ha trovato il modo di rispondervi.

Non ha compiuto un miracolo, Pedro, ma ha soddisfatto una necessità
concreta con un servizio utile, realizzato con una strumentazione già
presente sul mercato. Una tecnologia alla portata di tutti, se solo la
cosiddetta società civile si decidesse a riappropriarsi delle proprie
potenzialità, senza aspettare che il governo o la holding di turno
accorrano in suo soccorso e le regalino una comodità fasulla, troppo
facilmente convertibile in schiavitù.

Il software con cui questa tecnologia funziona è aperto, e presto lo
sarà anche l’hardware, il che significa che non esistono, e non
esisteranno, brevetti, patenti o diritti su questo progetto. Esiste ed
esisterà solo la volontà di condividere conoscenza e progressi in una
maniera comune e comunitaria da parte delle persone che stanno già
vivendo un altro mondo possibile.

Autogoverno secondo gli usi e costumi della tradizione indigena 

Le leggi del Messico, con le loro clausole solo in apparenza
generiche ma invece ben mirate alle comunità indigene, hanno
involontariamente aiutato. Il Municipio di Villa Talea de Castro,
autogovernato da autorità comunitarie attraverso la formula degli “usos y costrumbres”,
ha potuto sfruttare la postilla della Legge delle Telecomunicazioni che
permette la creazione di un servizio di telefonia cellulare alternativo
nelle aree escluse da quello nazionale.

Anche il monopolio messicano delle telecomunicazioni, in un certo
senso, ha contribuito al successo del “miracolo” di Villa Talea con la
privatizzazione folle e la completa mancanza di concorrenza, che ha
lasciato libera una parte dello spettro delle frequenze gsm. Non avevano
previsto, certo, l’eventualità che un brillante comunicatore
statunitense incontrasse due sistemisti ventottenni di Genova, e che
insieme i tre mettessero in funzione un “ricessore”, ossia un
trasmissore con un ricettore al suo interno, che emette e riceve un
segnale in una frequenza captata dai cellulari, creando una rete.

Nel solco tracciato dalle radio comunitarie

Pochi lo sanno, ma il primo progetto di telefonia cellulare
comunitaria del mondo parla anche italiano, un italiano macchiato delle
espressioni “straniere” di quelli che continuiamo a chiamare i nostri
“cervelli in fuga”, senza renderci conto che a volte a scappare non sono
solo i cervelli ma anche i cuori. Perché la piroetta tecnica che è
stata fatta a Talea non ha a che vedere coi progressi tecnologici
capital-consumistici, è il traguardo di una collettività.

L’idea che soggiace è quella che regge anche le radio comunitarie,
ossia che ogni comunità possa possedere, amministrare e maneggiare un
equipaggiamento e una competenza atte a soddisfare i propri bisogni in
termini di comunicazione. Esattamente come avviene negli altri settori
politici ed economici. E l’incastro perfetto dell’autonomia comunitaria
ha permesso la fondazione di una cassa di risparmio, che ha favorito la
nascita di una cooperativa comunale, che ha prestato alla municipalità i
quasi venticinquemila dollari necessari all’acquisto dell’attrezzatura.
Un investimento iniziale che la comunità si auto-restituirà attraverso
la quota fissa mensile che dà diritto all’uso illimitato di chiamate e
messaggi all’interno dell’area di copertura e a un sistema di ricariche
che connettono a prezzi irrisori gli abitanti di Talea con parenti e
amici all’estero.

È un cerchio perfetto quel che è successo a Talea, destinato a non
rimanere un isolato esperimento riuscito ma a venir replicato in altre
comunità in cui si stanno dando le medesime condizioni favorevoli. Il
processo a monte è identico, non ha a che vedere con la disponibilità
economica di alcuni ma con il consenso di tutti. Senza assemblea
comunitaria, senza discussione, senza valutazione dei pro e i contro,
senza convivialità, non si sarebbe realizzato alcun progetto. Rhizomatica  non
avrebbe nemmeno ragione di esistere. Del resto, non c’è nulla che la
tecnologia delle comunicazioni possa fare per una comunità che non sa
riunirsi, discutere, condividere e convivere. Nessun ultimo potente
ritrovato della tecnica sarà mai abbastanza ultimo e abbastanza potente
da riconnettere realmente chi ha perso la capacità di parlarsi e,
soprattutto, di ascoltarsi. La grandezza dell’esperienza di Talea non
sta solo nella bravura tecnica di chi l’ha realizzata ma soprattutto
nella convivenza e nell’organizzazione comunitaria che l’hanno resa
possibile.

L’INTERVISTA

Avevano 700 cellulari, mancava la rete. Parla Pedro Flores, il coordinatore del progetto Rhizomática (in lingua spagnola)

“Qui a Oaxaca diciamo ‘comunalizar”, la ‘comunalidad‘ è un modo di spiegare la quotidianità che vivono i popoli indigeni”.

Fonte: http://comune-info.net/2013/10/pronto-qui-parla-la-comunita/.


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