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La via dei lupi, per resistere. Vale un film: facciamolo

'Finanziare in crowdfunding un grande film. Il premio? La storia bellissima di un’opera non comune, l''epica di una comunità.'

La via dei lupi, per resistere. Vale un film: facciamolo
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16 Novembre 2013 - 23.29


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da libreidee.

Tradire è morire. E allora non resta che lottare: per restare fedeli a
se stessi, affrontando una solitudine lunare. Si può resistere per
anni, nel cuore dei monti, fino all’estremo sacrificio, non sapendo
rinunciare alla bellezza della dignità, al conforto della giustizia.

E’
la storia – vera – di François de Bardonneche, il singolare “Highlander
occitano” del ‘300, che Carlo Grande ha romanzato nel bestseller “La via
dei lupi”
. Grazie al lavoro
di Barbara Allemand e di Fredo Valla, sceneggiatore di Giorgio Diritti
(“Il vento fa il suo giro”, “Un giorno devi andare”) la storia del
grande ribelle che osò muovere guerra
al Delfino di Francia per poi darsi alla macchia sui sentieri della
fatale val di Susa, potrebbe diventare un film. O meglio un grande film,
se il progetto verrà adottato da Hollywood.

Il prezzo di questa follia?
Appena 20 euro. E’ la quota minima individuale della sottoscrizione
lanciata per far sistemare la sceneggiatura. Il premio? La storia
bellissima di un’opera non comune, attualissima e necessaria – il nostro film,
visto che parlerà direttamente a noi. Saper resistere al sopruso:
indispensabile, oggi più che mai, pena la perdita della nostra umanità.

«Viviamo in città lontano dalla natura, mangiamo senza fame e beviamo
senza sete, ci stanchiamo senza che il corpo fatichi, rincorriamo il
nostro tempo senza raggiungerlo mai». Così scriveva, Carlo Grande, nel
libro-confessione
“Terre alte”. «Abbiamo bisogno di riprenderci le nostre vite, di
trovare una strada che ci riporti al centro di noi stessi». Era solo il
2008, ma sembra un secolo fa. «Quando si ha, come noi, una tale
sicurezza materiale da non temere più di tanto per il futuro, quando non
ci si domanda cosa succederà la settimana prossima, quando si ha sempre
di che vivere e non si sa più per cosa, si forma intorno a noi una
prigione senza confini, da cui è difficile fuggire».

Oggi, col
precipitare della crisi,
molte di queste sicurezze sono cadute: sono migliaia, milioni, i
cittadini italiani ed europei che hanno ripreso a preoccuparsi per la
loro sorte immediata, a causa di una sofferenza decretata dall’alto di
un potere oscuro, percepito come ostile. Un potere accusato di aver tradito la sua promessa, venendo meno al suo dovere.

E’ proprio il dolore per il tradimento – quello del principe che gli
ha sedotto la figlia – a scatenare la furia del feudatario valsusino: il
Delfino francese ha calpestato le regole, su cui si regge la civiltà
medievale del “paratge”, l’onore tra uomini liberi che accettano
volontariamente di mettersi al servizio l’uno dell’altro. E’ la “civiltà
mediterranea”, nella quale Simone Veil individua l’ultima
reincarnazione dell’Atene di Pericle (il culto della bellezza) prima che
le forze più aggressive della storia spegnessero la luce, dalle legioni
conquistatrici alla sanguinosa repressione delle eresie libertarie.

Se
oggi i critici più intransigenti puntano il dito contro il nazi-capitalismo finanziario
che muove i burattini di Bruxelles imponendo la “desmesura” di
condizioni-capestro assolutamente insostenibili per il 99% dei
cittadini, i territori riscoprono il valore dimenticato della comunità
solidale
, come dimensione indispensabile non solo per l’autodifesa, ma
anche per la coltivazione di quell’umanesimo in mancanza del quale non
potremmo vivere.

Anche così si può rileggere la vicenda di François:
senza il coraggioso sostegno della sua gente
non sarebbe mai riuscito a ribellarsi né a evadere dal carcere, né
tantomeno a resistere così a lungo tra le nevi delle sue montagne.

E’ esattamente questo tipo di bellezza che il film è ansioso di
esprimere, nel silenzio incantato delle foreste. C’è anche una salutare
nostalgia per il “mondo bambino” del medioevo più luminoso, la civiltà
di uomini e donne che sapevano gioire, piangere, commuoversi, tra
montagne che – per secoli – tennero in vita la Repubblica degli
Escartons
, straordinario esperimento di autogoverno cantonale, nel cuore
dell’Europa.
Si parlava occitano, la lingua di François, quella in cui Dante avrebbe
voluto scrivere la Commedia, perché solo i trovatori provenzali – i
primi, dall’avvento della cristianità – avevano riscoperto la tenerezza
dell’amore, quella dei lirici greci, e avevano cominciato a cantarla,
sfidando l’oscurantismo vaticano grazie alla protezione di autorità
politiche tolleranti.

«Il film – dice oggi Carlo Grande – sarebbe un
fecondo generatore di bellezza, un balsamo alla solitudine morale: credo
in questo film perché credo in questa storia, in questo libro, in tempi
di carestia fisica (di aria, di acqua, di terra) e spirituale (etica ed
estetica)».

Il cinema italiano non è in grado di produrre il film, per
questo si pensa a Hollywood. Un percorso da fare insieme, appropriandosi
della causa. Basta anche solo un piccolo tributo d’onore, per
co-finanziare l’adattamento in inglese. E far sentire che la comunità
non se la sente di abbandonare il suo antico eroe: oggi come allora, il
vecchio François – guerriero riluttante, partigiano della libertà – per
tornare a lottare sulla “via dei lupi” ha davvero bisogno di noi.

(Per aderire alla sottoscrizione è sufficiente prenotarsi,
senza alcun anticipo di denaro, sulla piattaforma di social crowdfundig “Produzioni dal basso”,
dichiarando la propria disponibilità a sostenere il progetto, anche
solo con la quota minima di 20 euro; più quote danno diritto alla
presenza nei titoli coda, al dvd e all’invito a proiezioni nei cinema.
L’obiettivo è vicino: ancora pochi click e si raggiungeranno i 4.000
euro necessari a finanziare la revisione della sceneggiatura, che
consentirà di impostare la produzione del film).

Fonte: http://www.libreidee.org/2013/11/la-via-dei-lupi-per-resistere-vale-un-film-facciamolo/.

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