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'Barbara Spinelli: Ucraina, Libia, e i disastri dell''Europa vassalla'

Interrogazione di Barbara Spinelli - Audizione del ministro degli esteri Federica Mogherini davanti agli eurodeputati italiani.

'Barbara Spinelli: Ucraina, Libia, e i disastri dell''Europa vassalla'
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9 Settembre 2014 - 13.02


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Intervento-interrogazione di Barbara Spinelli

Audizione del ministro degli esteri Federica Mogherini davanti agli
eurodeputati italiani – Bruxelles 2 settembre 2014


In un
recente incontro informale dei ministri e segretari di stato per gli
affari europei cui ho partecipato come vicepresidente della Commissione
costituzionale, il 28 e 29 agosto a Milano, ho notato quanto grande sia
l’autocompiacimento nell’Unione, non solo sulle strategie economiche
anti-crisi ma anche in politica estera e in modo speciale sulla guerra
in Ucraina e i rapporti con la Russia. La rapidità con cui sono state
adottate le sanzioni contro Mosca sarebbe non solo un atto coraggioso
dell’Europa, ma un segno di vitalità, di forza, e di inedita coesione. È
un compiacimento che non condivido, come ho avuto l’occasione di dire
nella riunione a Milano: la soddisfazione è fuori luogo, e inoltre
infeconda. Più che una forza, conferma una debolezza europea che
persiste e dura.


Le
sanzioni non sono l’equivalente di una politica
, se per politica
intendiamo agire con cura e conoscenza nei conflitti che tormentano il
nostro “estero vicino”, a Est come a Sud dell’Unione. E non sono una
politica europea, fintantoché quest’ultima continuerà ad adeguarsi
passivamente alla linea statunitense
: una linea interessata a integrare
di fatto l’Ucraina nella Nato (integrazione respinta dalla metà dei
cittadini ucraini, come si deduce dai sondaggi), e dunque a riproporre
la guerra fredda con Mosca.


Una
politica che sia veramente europea non può esimersi dal compito di
pensare finalmente in modo serio i rapporti con la Russia, e in
particolare per quanto riguarda Kiev deve avere chiara in mente la
natura presente dello Stato ucraino, e la natura che esso dovrebbe darsi
in futuro.


Porsi compiti di questo genere significa essenzialmente tre cose:


– primo:
significa riconoscere che siamo davanti a una guerra civile dove le
responsabilità non sono di una parte soltanto, come pretendono le
diplomazie occidentali, l’Unione europea, la Nato
. Se Putin gioca sul
nazionalismo e sulle divisioni etniche, allo stesso modo sta giocando, e
in maniera pesante, il governo ucraino. Quando si parla dunque di
pressioni
, lo si dica chiaramente: ci sono pressioni da esercitare su
Mosca, e altrettante se non più da esercitare su Kiev.


– secondo:
significa prendere atto che il governo di Kiev ha attuato una strategia
militare pericolosa avvalendosi di milizie di estrema destra
. L’esempio
più lampante è il battaglione Azov, formazione paramilitare di
ispirazione neonazista che risponde al Ministero degli Interni. Contro
questa strategia l’Europa tace, come tacciono gli Stati Uniti.


– terzo:
questa strategia ha avuto come conseguenza un numero allarmante di
vittime civili
nel Sud-Est dell’Ucraina, 260.000 sfollati interni e
centinaia di migliaia di profughi che fuggono verso la Russia (secondo
l’UNHCR, dall’inizio dell’anno più di 121.000 persone hanno richiesto lo
status di rifugiato alla Russia, altre 138.000 hanno fatto domanda per
altre forme di permessi di residenza, e sono in tutto ben 814.000 i
cittadini ucraini russofoni che con status diversi si trovano ora in
Russia). 

Non posso credere, e immagino che anche il ministro Mogherini
non possa credere, che tutti questi fuggitivi siano militanti putiniani.
Sono ucraini russofoni che si sentono perseguitati e non riconosciuti, e
che hanno vissuto e temono vaste operazioni di pulizia etnica.


È una
tragica ironia della storia che il modello di federazione su cui la
nostra Unione è fondata – una convivenza di culture e lingue diverse che
si rispettano reciprocamente – sia proposto oggi non da noi europei, ma
da Vladimir Putin
. È una tragedia mentale, oltre che politica.


Un’analoga
assenza di pensiero forte, e autocritico, è constatabile a Sud
dell’Unione: di fronte ai conflitti e al caos che regnano in Siria,
Iraq
, Libia

Non sono disastri caduti dal cielo: in Iraq come in Libia,
stiamo assistendo alle conseguenze di guerre che hanno letteralmente
generato Stati fallimentari e caos
, nonostante i fuorvianti propositi
iniziali

Anche in questo caso è richiesta una politica europea che
diventi autonoma dagli Stati Uniti
: che abbia cura dei propri interessi e
rimetta in questione le scelte degli ultimi tredici anni. I flussi
migratori e le fughe in massa di popoli sono un’emergenza di cui siamo
in parte responsabili e che dobbiamo affrontare comunque noi, con nostre
idee sulla stabilità di quei paesi e con una politica comune
dell’immigrazione e dell’asilo. Anche in questo caso, far politica non
può riassumersi nella vendita di armi nelle zone di guerra e nella
creazione di una fortezza Europa presidiata da agenzie di controllo e
pattugliamento delle frontiere come Frontex o Frontex plus. 

Far politica
significa creare, per i profughi che vanno aumentando, corridoi
umanitari presidiati dall’Unione europea e dall’Onu
, se si vuol evitare
che le vie di fuga dalle guerre e da Stati gettati nel caos come la
Libia siano monopolizzate dai trafficanti e delle mafie internazionali.

 

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