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Il prezzo del petrolio, il dollaro e lo scontro tra Russia e Usa

Le recenti variazioni nel mercato petrolifero e in quello cambiario: da interpretare alla luce della crisi tra USA e Russia. Manovre di portata globale. [Demostenes Floros]

Il prezzo del petrolio, il dollaro e lo scontro tra Russia e Usa
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7 Novembre 2014 - 23.29


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di Demostenes Floros.

[Carta di Laura Canali, clicca sull”immagine per ingrandire]

Nota di Megachip: la cartina risale a prima della secessione della Crimea dall”Ucraina, avvenuta nel 2014, con il successivo ricongiungimento a Mosca. 

A ottobre, i prezzi del petrolio Wti e del Brent sono crollati di circa 10 dollari al barile ($/b), toccando i minimi rispettivamente da giugno 2012 e dicembre 2010.



L’International Energy Agency ha
nuovamente rivisto al ribasso le stime relative alla crescita della
domanda petrolifera globale 2014: +700 mila barili al giorno (b/d). La
solidità dell’offerta e il rallentamento della domanda di petrolio – fa
eccezione quella cinese, in aumento sulla scia del pil reale tendenziale
del 3° trimestre 2014 (+7.2%), ufficialmente maggiore di quello Usa (minuto 12”20″ del video, fonte: Imf) in termini di parità di potere d’acquisto – non giustificano in alcun modo tali oscillazioni.











Che cosa è successo sul mercato petrolifero?


L’Arabia Saudita ha aperto le ostilità,
adottando una politica ribassista aggressiva: il taglio del listino
delle forniture di greggio ai clienti è volto a difendere le proprie
quote di mercato. Tale opzione – in aperto contrasto con le previsioni
del segretario dell’Opec, il libico Abdallah El Badri, e con quanto auspicato
a settembre dal ministro iraniano del petrolio, Bijan Zanganeh – ha
costretto a sua volta Teheran a scendere sul terreno della riduzione dei
prezzi di vendita.



Qual è il fine di questa operazione? Perché mai i sauditi accetterebbero una riduzione momentanea della loro rendita petrolifera? Quali le possibili conseguenze?



L’abbassamento del prezzo del greggio colpisce anzitutto i bilanci statali
della Federazione Russa – come avvenne nel 1986 per l’Unione Sovietica –
dell’Iran e del Venezuela. In secondo luogo, danneggia lo shale oil
Usa, la cui produzione è economicamente sostenibile con prezzi superiori
ai 75/80$/b. A inizio ottobre, la produzione di petrolio negli Stati
Uniti, grazie al non convenzionale, ha toccato gli 8.88 milioni b/d,
record dal marzo 1986.


Ciò non esclude l’ipotesi di una tattica condivisa
in campo energetico tra Riyad e una parte dell’establishment di
Washington con una chiara finalità anti-russa e anti-iraniana. Di fatto
l’asse politico trasversale che va da Hillary Clinton ad alcune
componenti del partito repubblicano è ben consapevole dei limiti dello shale
nel medio/lungo periodo. Inoltre il calo del costo del petrolio, in
teoria positivo per l’Ue, potrebbe contribuire a incrementare l’effetto
deflattivo in corso in Europa, agendo come una sorta di “moltiplicatore keynesiano al contrario”, come nel caso delle politiche di austerità implementate nell”Eurozona.



Se le quotazioni stazionassero sotto gli 80$/b, un’ulteriore pressione ribassista
potrebbe giungere dalla speculazione finanziaria grazie alla messa in
valore delle cosiddette “opzioni put”. Queste concedono ai produttori
che si sono assicurati con banche e/p istituti di investimento dal
rischio riconducibile alla volatilità dei prezzi il diritto di vendere
loro barili (fisici e di carta).



A ottobre il cambio tra euro e dollaro si è stabilizzato attorno a quota 1,25/1,27€/$.
Si è così interrotto il forte deprezzamento della valuta Usa nei
confronti della moneta unica verificatosi nei due mesi precedenti (da
1,34€/$ il 1° agosto a 1,25€/$ il 6 ottobre). Che si sia trattato della
merce di scambio affinché la recalcitrante Ue accettasse la politica
delle sanzioni applicate alla Russia, viste le forti pressioni americane
pubblicamente ammesse dal vicepresidente Biden nel corso del suo intervento a Harvard? Intanto gli ordini (settembre su agosto) della Germania destinati all’export sono diminuiti dell’8,4%.



La Banca Centrale Europea ha mantenuto invariati i tassi di interesse
(2 ottobre) e ha intrapreso il programma d”acquisto di titoli
cartolarizzati (Abs, Asset backed securities), consistente nel liberare i
bilanci delle banche dai prestiti a imprese e famiglie; sono esclusi i
titoli di Stato. Al contempo la Fed, i cui saggi permangono prossimi
allo zero, ha confermato la fine del programma di quantitative easing 3 (probabile causa del calo dell’oro sotto i 1200$/oncia), ottenendo esiti contraddittori.


La prima stima del pil Usa del 3° trimestre 2014 ha segnato un +3.5%
e il tasso ufficiale di disoccupazione è sceso sotto il 6% per la prima
volta dall’inizio della crisi; ma il tasso di partecipazione della
forza lavoro è ulteriormente diminuito dal 62,8%, al 62,7% (minimo da oltre trent’anni), mentre i salari calano.



Le politiche monetarie ultraespansive da tempo adottate dai principali istituti centrali (comprese Bank of England e Bank of Japan) sono state sonoramente criticate da The Guardian,
anche in merito agli effetti redistributivi della ricchezza
verificatisi su entrambe le sponde dell’Atlantico dal 2008 ad oggi, come illustrato da wolfstreet.com e factset.com.
Sul versante energetico, nonostante i negoziati trilaterali sul gas
abbiano portato a un accordo tra Ue, Federazione Russa e Ucraina, è
ancora troppo presto per capire se si tratti di una toppa messa in
extremis per superare l’inverno o della scintilla di un nuovo rapporto
tra Bruxelles e Mosca.



Restano dei dubbi sull’effettivo congelamento dell’indagine antitrust da parte della Commissione Europea contro Gazprom. Mentre Mosca si accorda con Ankara per incrementare la portata del gasdotto offshore
Blue Stream (joint-venture paritetica tra Gazprom ed Eni) da 16 a 19
miliardi di metri cubi annui, si susseguono i rumors rispetto al
disimpegno di Eni in South Stream Ag (20% del capitale).


A tale riguardo è stato chiaro, ma non del tutto convincente, l’intervento
del senatore Massimo Mucchetti, nel corso del 3° Forum eurasiatico. A
prescindere da un utilizzo a dir poco parziale dei dati relativi al
consumo di gas, il presidente della Commissione industria, commercio e
turismo del Senato riproporrebbe lo stesso intervento dopo le elezioni in Ucraina?
Quel voto, sulla cui completa democraticità è lecito dubitare
fortemente, ha fatto nascere un parlamento ancor più nazionalista del
precedente. Alcuni eletti, come Dmitro Yarosh e Borislav Bereza di
Pravyi Sektor (che non è entrato in Parlamento come partito, ma con
singoli rappresentanti) o Andriy Biletsky, attuale comandante del
battaglione Azov, fanno esplicito riferimento all’ideologia nazista.
L’est del paese, non recandosi al voto (ma in parte anche le regioni
centro-occidentali, con la loro scarsa affluenza), ha mandato un chiaro
segnale politico: non si sente più rappresentato da Kiev.



Non a caso, nel corso del vertice Asia-Europa (Asem) del 17 ottobre a Milano, mentre l’agenzia Moody’s aggiungeva benzina al fuoco declassando il debito sovrano russo di un livello (da Baa1 a Baa2), non si è minimamente parlato di Crimea. La
situazione nella quale si è cacciata l’Europa è ben rappresentata dal
nervosismo manifestato da Angela Merkel durante il sopracitato vertice.
Il fatto che il capo dei servizi segreti tedeschi abbia successivamente
chiamato in causa i filorussi per l’abbattimento dell’aereo malese non costringerà Vladimir Putin a evitare ritardi ai bilaterali con la cancelliera tedesca dal chiaro significato politico.











Mentre dall’inizio dell’anno le società americane che operano nel settore militare hanno guadagnato il 19% di capitalizzazione in borsa, raggiungendo il loro record di sempre secondo firstlook.org, e “la campagna aerea contro l’Is rischia di risultare irrilevante senza truppe sul terreno” secondo Gianandrea Gaiani
direttore di Analisi Difesa, nello scontro tra il multipolarismo e
l”unipolarismo statunitense Putin sta tentando di resistere agli Stati
Uniti. Questo grazie al rafforzamento di una serie di
legami politici e culturali fuori e dentro i propri confini nazionali spesso esprimenti sistemi valoriali tra loro diversi.











Il presidente russo è certamente consapevole dei rischi
che potrebbero comportare queste alleanze. Una politica di
de-escalation della crisi in corso con Mosca è nell”interesse di ogni
democratico europeo; altrimenti Putin potrebbe continuare a dare spazio a
chi – come Salvini e Le Pen – nel Vecchio Continente si sta muovendo
per spaccare l”Unione monetaria europea”.



Per approfondire: La bolla dello shale gas

Demostenes Floros è un analista geopolitico ed
economico. Insegna presso il Master di 1° Livello in “Relazioni
Internazionali di impresa: Italia-Russia” (Modulo: Energia)
dell’Università di Bologna”.

Fonte:  http://temi.repubblica.it/limes/il-prezzo-del-petrolio-il-dollaro-e-lo-scontro-tra-russia-e-usa/67455.

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