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In Ucraina un golpe targato Obama

'L''ex premier in esilio Azarov: ''La consigliera della Casa Bianca pretese un governo di unità nazionale. Gli Usa volevano farci tornare aggressivi contro Mosca.'''

In Ucraina un golpe targato Obama
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24 Marzo 2015 - 22.21


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Intervista a Mykola Azarov a cura di Alessandro Sallusti.

È passato da poco un anno dalla rivolta di
piazza che provocò la caduta del governo ucraino e la guerra civile che
ha portato il mondo sull”orlo di un conflitto più esteso. Mykola Azarov,
leader del Partito delle regioni, era il primo ministro che in quei
giorni si trovò a gestire lo scontro tra filo russi e filo europei. Si
dimise in febbraio, pochi giorni prima della caduta dell”intero governo e
del presidente Yanukovich. 

Braccato dagli insorti, si salvò in modo rocambolesco e ora vive esule a Mosca.

Signor Azarov, il giudizio dell”opinione pubblica europea resta confuso e diviso. Fu rivoluzione di popolo o colpo di stato?

«Guardi,
durante i miei tre anni di governo avevamo tenuto l”Ucraina su una
linea di buon vicinato sia con la Russia che con l”Unione Europea.
Questa equidistanza non era gradita agli Stati Uniti d”America che
volevano si tornasse alla politica del precedente governo di dichiarata
ostilità alla Russia. Questa irritazione, e le conseguenti pressioni,
l”abbiamo percepita fin da quando siamo andati al governo».

Lei personalmente subì pressioni in tal senso?

«Quando
noi ci rendemmo indisponibili a sottoscrivere così come ci erano stati
presentati gli accordi con l”Unione Europea, accaddero due cose
contemporaneamente».

Cioè?

«Da una parte
incominciarono occupazioni di uffici pubblici da parte di manifestanti
spuntati dal nulla, dall”altra una incredibile e arrogante ingerenza da
parte degli Stati Uniti negli affari interni di uno Stato sovrano. Venne
da me la consigliera diplomatica del presidente Obama, Victoria Nuland,
a pormi una sorta di ultimatum: o accettavo di formare un nuovo governo
di unità nazionale che accontentasse gli anti russi oppure l”America
non sarebbe stata a guardare».

E lei cosa rispose?

«Che
il mio governo era stato eletto democraticamente e che aveva superato
ben due voti di fiducia. Le dissi chiaramente che la politica
dell”Ucraina era nelle mani del popolo ucraino e che lei non doveva
permettersi di usare quei toni con il suo legittimo rappresentante».

Eppure, stando alle immagini televisive rimbalzate in tutto il mondo, la protesta contro di voi stava montando.

«Quella
di concentrare una massa di persone attorno al palazzo del potere o
nella piazza simbolo di una capitale, è una tecnica collaudata delle
cosiddette rivoluzioni arancioni. In quei giorni avevamo in mano
sondaggi secondo i quali la maggioranza del popolo ucraino appoggiava
convintamente la linea del governo. Del resto bastava spostarsi poche
centinaia di metri dalla piazza occupata per verificare come a Kiev la
vita procedesse in modo assolutamente normale e che altre
manifestazioni, di segno opposto, avvenivano in modo spontaneo un po”
ovunque nel Paese».

Secondo voi, chi alimentava la pressione della piazza?

«In
quei giorni noi avevamo il controllo completo di ciò che stava
accadendo. I nostri servizi segreti avevano infiltrato uomini tra i
manifestanti e avemmo le prove che la piazza prendeva ordini dagli
americani, che il quartier generale della protesta era nell”ambasciata
Usa a Kiev, la quale provvedeva anche a finanziare in modo importante la
rivolta».

E non prendeste contromisure?

«Quando
la protesta passò da pacifica a violenta, con uso massiccio di bombe
molotov e anche armi da fuoco contro la nostra polizia, convocammo sia
l”ambasciatore americano che gli ambasciatori europei per mostrare loro
le prove in nostro possesso».

Con che esito?

«Fu
sconcertante. L”unica cosa che ci dissero è che noi non potevamo
reagire con la forza alla violenza crescente dei manifestanti. Ci
stavano insomma legando le mani».

L”Europa quindi, mi sta dicendo, si girò dall”altra parte?

«Il
ruolo della Comunità europea, in quei giorni drammatici e decisivi, fu
volutamente marginale e quello dell”Italia pari a zero. Entrammo in
possesso dell”intercettazione di una telefonata nella quale il primo
ministro polacco diceva alla responsabile esteri della Commissione
europea che, contrariamente alla versione spacciata per ufficiale, i
cecchini che entrarono in azione in piazza non erano filo russi ma
appartenenti alla fazione a noi avversa».

La risposta della ministra?

«Gelida,
come dire: è una verità scomoda, lasciamo perdere. C”era la netta
volontà di insabbiare la verità per non intralciare i piani americani».

Sta dicendo che fu organizzata una operazione di “fuoco amico” per fare indignare l”opinione pubblica internazionale?

«Sto
dicendo che servivano vittime da sacrificare per giustificare
l”innalzamento del livello di violenza della piazza e l”assalto ai
palazzi del potere. I nostri poliziotti morivano o rimanevano gravemente
feriti ma il presidente Yanukovich non diede mai l”ordine di dotare i
reparti speciali di armi offensive nella speranza di trovare una
soluzione pacifica».

Così si arriva al 27 gennaio 2014, giorno delle sue dimissioni.

«Con
grande senso di responsabilità comunicai al presidente che ero disposto
a dimettermi per facilitare una soluzione della trattativa. Gli chiesi
di barattare la mia testa con lo sgombero della piazza e il disarmo dei
gruppi neonazisti e dei facinorosi, circa cinquemila persone, che
prendevano ordini da stati esteri».

Avvenne?

«Le mie dimissioni sì. Per il resto non cambiò nulla. Anzi, la situazione peggiorava di giorno in giorno».

Ha continuato a vedere Yanukovich?

«Sì, in quelle ore ci sentivamo e vedevamo spesso».

Che cosa vi dicevate?

«Ho
cercato di convincerlo che gli stavano facendo perdere tempo, che
trattare con gli oppositori interni era inutile, in quanto marionette.
Mi parlò di un accordo, peraltro poco onorevole, che stava raggiungendo
con i ministri degli esteri di Polonia, Francia e Germania. Ma era
evidente, e glielo dissi, che l”unica possibilità era quella di trattare
direttamente con gli Stati Uniti, anche se loro, ovviamente, si
guardavamo bene da fare aperture perché come obiettivo si erano dati
solo il capovolgimento del governo».

Si arriva al 22 febbraio, giorno del colpo di stato, lei dove era?

«La
sera prima avevo visto il presidente che mi aveva annunciato
l”intenzione di aderire alla proposta di Polonia, Francia e Germania e
che all”indomani, in cambio di grosse concessioni, la piazza si sarebbe
ritirata come previsto dall”accordo. Così la mattina uscì di casa per
raggiungere Yanukovich ma il capo della mia scorta mi fermò. Il palazzo
presidenziale era stato preso dagli insorti, la moglie del presidente
era scampata per un soffio a un attentato. Mi disse che il presidente
stesso era in grave pericolo, che i ribelli avevano dato ordine di
bloccare le frontiere a tutti i membri del governo. Yanukovich stava per
fare la fine di Gheddafi».

In che senso?

«Gheddafi
fu ucciso da bande locali ma i mandanti erano gli stati che avevano
dato il via all”attacco alla Libia. Sono certo che senza la copertura
politica e morale di Stati Uniti ed Europa nessuno in Ucraina avrebbe
avuto la forza di uccidere fisicamente il presidente e noi membri del
governo. Prendere atto di questa verità è stata la più grande
disillusione della mia vita».

Il presidente Putin, nei
giorni scorsi, ha rivendicato di aver salvato la vita a Yanukovich e a
lei portandovi in salvo. Come è andata?

«Il presidente
Putin ha voluto ribadire che in quelle ore ha compiuto una azione
umanitaria nei confronti di persone amiche della Russia che non avevano
fatto del male a nessuno. Osservo come le posizioni del governo della
Russia siano cambiate nel tempo. All”inizio Putin ha dato la
disponibilità a collaborare con il nuovo governo Ucraino ma poi sono
accadute cose che hanno fatto cambiare parere. Come l”atteggiamento
ostile e violento di Kiev nei confronti della Crimea e delle regioni
orientali abitate da russi. Purtroppo l”Europa non conosce questi gravi
fatti. Nessuno ha scritto degli assalti ai mezzi dei militari che
presidiavano le regioni russe o dei massacri di civili disarmati che
protestavano contro il nuovo regime. A Odessa sono state bruciate vive
più di cento persone da parte dei nazionalisti ucraini. Nelle zone
russofone, Kiev vuole governare col terrore».

Signor Azarov, guardiamo avanti. La tregua durerà?

«Quando
noi sosteniamo che ci sono nazisti al potere a Kiev, l”Europa ci prende
per bugiardi, ma è la pura verità. Come giudicate voi persone che danno
ordine di bombardare interi quartieri con sistemi a lancio multiplo? A
Charkiv decine di migliaia di civili sono morti, cinquemila edifici sono
stati distrutti, così come gli acquedotti. La gente è al freddo in
rifugi e cantine. Sono criminali, presto o tardi l”opinione pubblica
internazionale verrà a conoscere questi fatti. Detto questo sono
favorevole agli accordi di Minsk che hanno messo fine a questo eccidio.
La Russia è pronta al compromesso, ma l”Ucraina è anche dei russi. Dire:
l”Ucraina solo agli ucraini è uno slogan nazista. Gli Stati Uniti e
l”Europa devono saperlo e agire di conseguenza».

Tornerà in Ucraina?

«Mi
hanno inserito in una lista nera in modo del tutto arbitrario. A
distanza di un anno non hanno ancora trovato un solo fatto che mi possa
compromettere. Non sono però ottimista. Oggi non c”è in Ucraina un solo
giudice che abbia la forza di andare contro la volontà del governo.
Spero un giorno di tornare. Questa situazione non può durare a lungo. I
soldi del fondo monetario purtroppo non finiranno al popolo, la crisi
economica è già devastante ma farò di tutto perché il mio paese non
diventi una nuova Somalia europea».

Fonte: http://www.ilgiornale.it/news/politica/ucraina-golpe-targato-obama-1108688.html.

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