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Questione palestinese il silenzio che preoccupa

'La fretta di Abu Mazen di lasciare ANP a suoi fedeli e HAMAS dalla Siria che tratta con Israele l''armistizio '

Questione palestinese il silenzio che preoccupa
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16 Settembre 2015 - 19.27


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di Aldo Madia.

ANP, pasticci e corruzione

Con
singolare fretta, il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud
Abbas (Abu Mazen), dimissionario, convoca entro il mese il Consiglio Nazionale
Palestinese, parlamento della popolazione nei Territori Occupati e in esilio, e
nel novembre successivo il settimo Congresso di FATAH, il suo partito.

Obiettivo,
rinnovare l’Organizzazione per la Palestina, l’OLP, il suo Comitato Esecutivo e
i vertici di FATAH.

Dopo
oltre 20 anni di fallimentari politiche negoziali, l’80 enne presidente tenta
di insediare al Vertice suoi uomini di fiducia, restando presidente dell’ANP,
dove arrivano gli aiuti economici dei Paesi donatori.

Non è
una situazione limpida.

Sostituto
momentaneo è Saeb Erekat, il negoziatore con Israele, che dovrebbe cedere il
passo a Majed Faraj, capo dell’intelligence dell’ANP, voluto da Abu Mazen e
gradito a USA ed EU.

Nei
10 anni della sua presidenza, Abu Mazen, troppo debole per imporre alla Comunità
Internazionale il problema della decolonizzazione, s’è concentrato sulle
questioni interne. Uomo di potere.

Negli
ultimi anni, si libera di Mohamed Dahlan, già capo dell’intelligence nella
Striscia di Gaza, va allo scontro con il suo decennale primo ministro Salam
Fayyad e mette alla porta Abed Abu Rabbo, portavoce del OLP durante la prima
Intifada ed esponente di spicco del dopo accordi di Oslo del 1993.

Il
pugno di ferro contro i suoi avversari dissidenti è parallelo allo zelo con cui
impone la cooperazione di sicurezza tra intelligence palestinese e israeliana.

L’assistenza
non cessa neppure durante i devastanti attacchi di Tel Aviv nella Striscia di
Gaza nel 2008-2009, 2012 e 2014.

Abu
Mazen è stato il maggior oppositore alla formazione del Governo di unità
nazionale nel 2006, quando, dopo le elezioni HAMAS risulta il primo partito e
viene ostacolato da FATAH sino alla frattura dell’anno successivo.

La
riconciliazione con HAMAS proclamata nell’aprile 2014 ma mai resa esecutiva è
azzerata dal presidente dell’ANP che dimissiona il governo in carica
nominandone un altro.

Sconcerto
nella popolazione per l’appello rivolto da Abu Mazen all’ONU per convincere il
governo israeliano a lasciare entrare in Cisgiordania i rifugiati fuggiti dai
campi profughi a causa della guerra in Siria.

La
maggioranza interpreta la richiesta del Presidente come una rinuncia indiretta
al diritto di ritorno al Paese di origine dei profughi del 1948.

Gli errori di HAMAS.

Il
movimento islamico, isolato dalla Comunità Internazionale sin dal 2003 che lo
inserisce nell’elenco organizzazioni terroriste, è da 8 anni sotto assedio di
Israele dopo la rottura con FATAH.

A
Gaza rimane come leader Ismail Haniyeh, ex Premier del Governo di unità
nazionale del 2006 mai nato, a Direzione Esterna del movimento guidata dal
segretario generale Khaled Meshaal, grazie all’intervento dell’Iran, si
trasferisce in Siria.

Dopo
le tre guerre scatenate contro la Striscia di Gaza da Tel Aviv, Meshaal si lega
a Turchia, Qatar e ai Fratelli Musulmani egiziani che avevano insediato alla
presidenza del Paese Mohamed Morsi.

La
situazione del movimento precipita di nuovo con il colpo di Stato in Egitto.

In
questa situazione Khaled Meshaal dal Qatar a fine d’agosto rende noto che, con
la mediazione dell’ex premier britannico Tony Blair, il sostegno della Turchia
e il supporto economico del Qatar è pronto a un accordo con Israele.

L’intesa
prevede da parte di Tel Aviv: revoca del blocco di Gaza; permesso di un porto
galleggiante a tre km dalla costa per importare ed esportare le merci; rotta
marina aperta fino a Cipro dove i prodotti da e per la Striscia saranno
controllati da militari NATO; ingresso in Israele di migliaia di lavoratori
pendolari da Gaza.

In
cambio, HAMAS assicura: una tregua di 10 anni; il controllo delle altre
formazioni armate della Striscia per impedirne anche con la forza il lancio di
razzi; il divieto di scavare gallerie sotterranee sotto il confine; la
restituzione dei prigionieri israeliani vivi (l’ebreo etiope Avira Mengistu e
un beduino entrati illegalmente nella Striscia di Gaza) e morti (i resti di due
soldati rimasti uccisi nell’attacco israeliano del 2014).

Contro
HAMAS sono FATAH, il FRONTE POPOLARE per la LIBERAZIONE DELLA PALESTINA, il
PALESTINIAN JIHAD ISLAMI, l’intera sinistra e le altre forze politiche. L’area
di opposizione sostiene che la divisione tra Cisgiordania e Gaza accreditata da
Israele renderà impossibile la creazione di uno Stato palestinese in cambio di
Gaza che rappresenta solo il 2% delle terra di Palestina.

In
altri termini, la tregua a lungo termine con Israele trasformerebbe Gaza in
un’entità separata mentre la Cisgiordania sarebbe ridotta a un insieme di
enclavi ad alta concentrazione di popolazione palestinese.

L’accordo
negoziato da HAMAS costituirebbe insomma la fine della speranza di creare lo
Stato palestinese e la perpetuazione dell’occupazione militare.

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