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Chi vuole la Terza Guerra Mondiale?

USA: vogliono forzare Pechino ad aprire il suo ultra-protetto e regolato mercato finanziario al casino finanziario iperspeculativo. Ma non avviene. Ecco perché [P. Escobar]

Chi vuole la Terza Guerra Mondiale?
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23 Settembre 2015 - 19.13


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di Pepe Escobar.

Tradotto da ComeDonChisciotte.org.


La vera ambizione di Washington è una qualche forma di coercizione
che forzi Pechino ad aprire il suo ultra-protetto e regolato mercato
finanziario al casino finanziario iperspeculativo del sistema delle
grandi banche USA. Non sta avvenendo, dal momento che la Casa Bianca non
ha strumenti per influenzare la questione.

Il Presidente Cinese Xi Jinping vola negli USA per la sua prima
visita negli Stati Uniti quasi simultaneamente a Papa Francesco. Sarà
affascinante osservare come i centri decisionali della superportenza
reagiranno a questa doppia esposizione al materialismo dialettico, in
salsa Cinese, e alla Chiesa Cattolica “sotto restauro”.

In
uno storico discorso a l’Avana, Papa Francesco, inserendosi
nell’avvicinamento in corso tra Barack Obama e Raul Castro, ha insistito
che vuole offrire il suo contributo all’approfondimento dei rapporti
tra Washington e l’Avana. Ha chiesto a Obama e Raul di dare tutto ciò
che possono per offrire un esempio costruttivo al mondo: “Un mondo che
ha disperato bisogno di riconciliazione nel quadro di questa terza
guerra mondiale”.

“Terza guerra mondiale” non era incluso nella redazione originale del
discorso del Papa. Francesco lo ha aggiunto in un secondo tempo, nel
suo volo da Roma a l’Avana.

Un cinico pre-socratico suggerirà che una volta a Washington
Francesco si sincronizzerà prontamente sui toni da “Apocalipse now”
delle fazioni al Pentagono, secondo le quali infatti la terza guerra
mondiale c’è gia, le minacce assolute sono Russia e Cina, con
l’ISIL-ISIS-DAESH distaccato in terza posizione.

Ci sembrerebbe pià plausibile se Francesco si allineasse con la
visione del Presidente Russo Vladimir Putin, che sta promuovendo un
genuino processo di pace in Siria. La vera prima minaccia alla stabilità
di Medio Oriente, Europa e persino l’intera Eurasia è l’esplosione jihadista originatasi in “Siraq”.

Non per il Pentagono chiaramente, i cui analisti sono tutti impegnati a contingentare piani contro la…Russia.

L’ultima indiscrezione su questa ossessione anti Russa ci giunge per
bocca di una nota agente neoconservatrice, Michèle Flournoy, ex
sottosegretaria alla Difesa e co-fondatrice di un un notorio think thank
guerrafondaio il “Center for a new American Security”.

Tutto fa riferimento a una “potenziale aggressione” Russa contro la
NATO, o a una altrettanto ipotetica aggressione Russa contro i paesi
Baltici. Il piano include possibili scenari di risposta del Pentagono in
sincronia con la NATO, come anche del Pentagono individualmente.
L’assunto di base è sempre e comunque una “inevitabile aggressione russa”.

Abbiamo quindi una strategia “Pivot verso la Russia” a complementare
la già nota “Pivot verso l’Asia”, che Pechino ha interpretato per quello
che è, ossia una politica di contenimento strategico che include:
accerchiamento militare (Mar Cinese del Sud, Oceano Indiano, Pacifico
Occidentale), esclusione dai commerci (Il TTP, trattato transpacifico) e
per finire la classica minaccia di sanzioni.

Adesso confrontiamo i movimenti del Pentagono, specie la morsa
attorno alla Cina, con quello che l’America economica vuole: affari, un
mucchio di affari, cosa che implica ovviamente niente sanzioni.

E infine abbiamo quello a cui i “padroni dell’Universo” aspirano
realmente: qualche forma di fattore di coercizione che costringa Pechino
ad aprire il suo mercato finanziario protetto al casinò finanziario
ultraspeculativo delle grandi banche USA. E questo non sta accadendo, è
fuori dalla portata d’influenza della Casa Bianca.

A cosa si oppone Xi

I primi giorni del programma di Xi negli Stati Uniti includono una
visita alla nuova catena di montaggio della Boeing alla periferia di
Seattle; una cena con Bill Gates; e il forum Americano-Cinese
sull’Industria di Internet, della durata di due giorni. Da questa lista è
facile notare le priorità di Pechino.

Con Obama, Xi dovrà discutere punti di attrito noti: Taiwan, il Mar
Cinese del Sud, sicurezza cibernetica e negoziati verso la possibile
adozione di un trattato commerciale bilaterale.

Se la cerchia di guerrafondai che spinge a pressioni sulla Cina non
fosse sufficiente, Xi si ritroverà sotto ulteriori pressioni negli Stati
Uniti, pressioni esercitate per mezzo degli argomenti dei diritti umani
e della sicurezza informatica.

In ogni caso non c’è certezza sul fatto che nei circoli decisionali
dell’iperpotenza ci sia consapevolezza di quello che stia realmente
facendo in Cina.

In circa tre anni al potere, il compito numero uno di Xi è stato il
lancio di una colossale campagna per contrastare la corruzione personale
dei funzionari sia nella sfera civile che in quella militare.
L’estremamente temuta Commissione centrale d’ispezione sulla Disciplina è
la sua arma fondamentale nella lotta. E nessuno sfugge ai tentacoli
della Commissione. Neppure l’ex superstar delle forze di sicurezza Zhou
Yongkang e l’ex aiuto presidenziale Ling Jihua.

Dunque Xi sta, allo stesso tempo, ripulendo il Partito Comunista
Cinese (PCC) e l’armata di liberazione popolare (ALP). Possiamo appena
immaginare il fattore di resistenza, al punto che informatori interni
Cinesi insistono sul fatto che Xi si sia fatto potenti nemici interni a
vari livelli: pezzi grossi politici in pensione, alti gradi
dell’esercito, influenti ufficiali di Governo, dirigenti di aziende a
proprietà Statale, tutta una serie di “principini”, figli dei
rivoluzionari storici e per concludere lo svariato stuolo di ricchi che
ricicla denaro nei casinò di Macao e nei negozi di lusso di Hong Kong.

Tra i più prestigiosi scalpi raccolti da Xi si conta la cosiddetta
gang di Shanxi, che controllava interamente l’ambiente
politico-economico in questa provincia con abbondanti risorse in
carbone, e la cosiddetta gang del petrolio, che aveva sotto controllo
tutte le questioni petrolifere nazionali.

Il Premier Li Keqiang al World Economic Forum di Dalian è stato
costretto a giustificare l’operazione dicendo che è una questione di
“aggiustamenti strutturali” che non ha impatto sull’economia Cinese.

I fatti sono chiari: la Cina potrebbe avere deregolamentato
parecchio, ma capitale, energia, materie prime e terra rispondono ancora
quasi esclusivamente alle priorità del Governo Centrale. Nessun
lobbying da parte degli Stati Uniti può cambiare questo fatto concreto.

Questo significa altrettanto che, se ti ritrovi un ufficiale Cinese
perfettamente piazzato e con le connessioni giuste (supremazia guanxi)
sei praticamente il Re del Business Cinese. Questi funzionari,
essenzialmente, sono alla base di molte “distorsioni” nell’economia
Cinese, e questo è esattamente ciò che Xi sta cercando di cambiare.

L’ampio progetto di miglioramento dell’economia Cinese include un
minore affidamento sull’export di prodotti manufatti, una pianificazione
più rigorosa in termini di spesa per le infrastrutture e
reindirizzamento della spesa industriale.

Fantasie su un collasso della Cina sono semplicemente insensate. I
tempi della Rivoluzione Culturale sono passati da un pezzo. La Cina sta
lentemente, ma con decisione, spostandosi verso uno spettacolare nuovo
paradigma di integrazione della totalità dell’Eurasia in una
spettacolare rinascita industriale. Ogni cambiamento in Cina punta verso
questa transizione.

La transizione detta comporta anche un allentamento progressivo della
forte dipendenza dagli export verso USA e UE e una economia più
bilanciata e focalizzata sul panorama dell’Eurasia, mentre i rapporti
commerciali con l’Occidente verranno comunque più possibile mantenuti.

E questo qui vi sembra uno Stato/civiltà che desidera la Terza Guerra Mondiale???

Fonte: http://sputniknews.com/columnists/20150921/1027314812.html.
Tratto da: http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=15595.

Traduzione per ComeDonChisciotte.org a cura di CONZI, Con alcune piccole revisioni a cura di Megachip.

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