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La battaglia di Fallujah e le prospettive del Califfato in Iraq

La composizione delle forze opposte al Califfato sarà fondamentale per l’efficacia dell’offensiva, ma anche per la futura possibilità di resistenza del nemico.

La battaglia di Fallujah e le prospettive del Califfato in Iraq
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18 Luglio 2016 - 05.55


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di Marlene Mauro

Nel giugno del 2014 il
fenomeno Daesh, già noto da tempo alle forze di sicurezza di tutto il
mondo si imponeva all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale
annunciando ufficialmente la nascita del califfato islamico su un
territorio iracheno già devastato dai precedenti interventi
internazionali e dall’assenza di reale stabilizzazione.

Il gruppo guidato da Al-Baghdadi emergeva così a partire dalle
debolezza del fallito Stato iracheno per iniziare la sua progressiva
espansione non solo nei territori di Siria ed Iraq ormai indeboliti dai
conflitti interni, ma nella mente e nella coscienza di tutti i musulmani
di fede sunnita sensibili alla causa estremista. L’offensiva sulle
città irachene di Tikrit e Mosul a cui è rapidamente seguita
l’estensione del califfato nei territori siriani di Raqqa e nelle
vicinanze di Aleppo ha convinto negli anni passati la comunità
internazionale ad accordare adeguata rilevanza ad un fenomeno che va
necessariamente interpretato, nella sua dimensione territoriale, tenendo
presenti le complesse dinamiche da sempre in atto nello scenario
mediorientale.

Nel 2015 Daesh è riuscito ad espandere il suo network di
affiliati in almeno otto ulteriori paesi, sfruttando tanto le debolezze
politiche e sociali dei governi di riferimento, quanto l’ampia
attrattività del suo messaggio simbolico e confessionale.

La complessa situazione medio-orientale e la minaccia che l’esistenza
stessa del Califfato ha posto al mondo occidentale manifestando la sua
capacità di costituirsi come forte polo di attrazione per l’estremismo
sunnita, ha spinto le principali potenze regionali ed internazionali ad
implementare gradualmente una strategia di efficace intervento
nell’area.

Sebbene i tentativi di contrasto condotti nel corso del 2014 e del
2015 siano stati, salvo sporadici casi e ad esclusione della strenua
resistenza curda, piuttosto limitati nei risultati e nell’efficacia,
l’attuale offensiva delle forze governative irachene supportate dagli
Stati Uniti e dalle milizie sciite guidate dall’Iran sembrano oggi
ottenere i primi risultati significativi e spingono molti a ritenere che
la capacità di resistenza del Califfato nei territori occupati stia
gradualmente venendo meno.

Le forze attualmente presenti su territorio iracheno sono in realtà
molto variegate e pongono non pochi problemi circa le future possibilità
di gestire una pacificazione che appare tutt’altro che immediata o
agevole. Ad oggi si registra sul territorio la sconfitta subita dagli
uomini del Califfato nei territori controllati di Kirkuk, Tikrit e
Ramadi, mentre ancora aperto, sebbene ne sia stata già dichiarata la
liberazione il 26 giugno scorso, è il conflitto che interessa la città
di Fallujah situata a soli 70 km da alla Capitale.

Il ruolo fondamentale delle forze governative iraniane, delle milizie sciite della Forza di Mobilitazione Popolare e di Hezbollah nella
guerra di liberazione dagli uomini del Califfato non è certamente
sfuggito agli osservatori ed acquista connotati di particolare rilevanza
se si considerano le recenti scelte politiche del primo ministro
iracheno Al-Abadi. Le scelte politiche di Baghdad sembrano essere
ampiamente condizionate dalle decisioni iraniane, come può dimostrare la
nomina di Mustafa Al-Kazemi, soggetto particolarmente vicino a Teheran,
a capo dell’INIS (Iraqi National Intelligence Service). La
situazione così delineata rischia evidentemente di creare tensioni non
solo in ragione del comportamento dei miliziani sciiti contro le
popolazioni sunnite presenti nei territori recentemente liberati, ma
anche rispetto alle potenziali reazioni delle altre potenze regionali
che guardano con sospetto alle strategie di influenza iraniane.

L’avanzata delle forze governative, nonostante le evidenti vittorie
registrate e l’esito positivo della campagna di Fallujah, non sembra
per il momento essere risolutiva rispetto alla definitiva sconfitta
degli uomini di Al-Baghdadi in Iraq.

Per ciò che riguarda la città di Fallujah le milizie Da’ish
hanno scontato l’ampio svantaggio dovuto all’isolamento del territorio
della città rispetto alle altre zone di stretto controllo del Califfato;
l’assenza di vie di fuga e di canali certi di approvvigionamento ha
reso la resistenza ben più breve di quella registrata nelle battaglie di
Ramadi e Tikrit e lo sforzo della coalizione non paragonabile a quello
necessario per la prossima liberazione di Mosul.

Analizzando la presenza di Da’ish nei territori di Iraq e
Siria è agevole verificare come la strategia di espansione del Califfato
si sia concentrata sull’acquisizione di quelle aree non solo
“culturalmente” più affini all’ideologia islamica wahhabita, ma anche e
sopratutto nevralgiche per la presenza di risorse economiche,
energetiche e infrastrutturali. 

L’espansione ha infatti garantito alle milizie islamiche la conquista
del corridoio strategico tra Mosul, Al Qaim, Aleppo e Raqqa. Il centro
strategico della presenza del Califfato in Siria e Iraq è situato
nell’area compresa tra Mosul e Al Qaim, rilevante tanto per la presenza
di giacimenti petroliferi, raffinerie mobili e corridoi energetici,
quanto rispetto all’esistenza di un collegamento territoriale diretto
con i territori siriani garantito principalmente dall’area di
Deir-al-Zour. Contestualmente si rileva come, alle perdite tattiche
subite nei territori di Ramadi e Fallujah, il califfato abbia opposto
tentativi di espansione in Siria lungo le frontiere con Libano e
Giordania e intorno ai villaggi che circondano Damasco. La capacità di Da’ish
di proseguire l’offensiva e assicurarsi vantaggi strategici in un
momento di piena contrazione territoriale si unisce ad altri aspetti
della sua strategia che sono ben capaci di dimostrare l’elevato livello
di resilienza del fenomeno. Lo Stato Islamico ha infatti intensificato
il numero di operazioni terroristiche in risposta alle perdite
territoriali. Gli attacchi isolati a danno dei civili registrati nel
periodo di interesse sono stati infatti poco meno di 900 con circa 2.000 vittime civili e hanno subito un incremento del 16% rispetto al precedente trimestre. Appare evidente che a seguito delle perdite territoriali inflitte dalle forze governative e internazionali Da’ish
stia tentando una compensazione tanto materiale quanto simbolica,
manifestando in misura maggiore la sua presenza e pervasività
territoriale come dimostrato dai recenti attentati di Dacca.

Non secondaria è inoltre la questione già accennata e relativa alle
scarse possibilità di pacificazione dei territori sottratti al controllo
del Califfato. L’emergenza umanitaria e le rivalse sulla popolazione
sunnita messe in atto dalle milizie sciite che appaiono preminenti nella
gestione delle operazioni militari non sono infatti elemento da
sottovalutare e potrebbero avere il controproducente effetto di
compattare la popolazione sunnita del paese intorno alle milizie
jihadiste.

L’esito dello scontro territoriale per il controllo delle principali
città irachene non sembra in ogni caso poter essere definito dal
risultato della battaglia di Fallujah; bisognerà infatti attendere
notizie dal fronte nord che vede coinvolte le forze governative intorno
alla città di Mosul, vero cuore strategico del califfato in Iraq. La
decisione del primo ministro iracheno di dare priorità all’obiettivo di
Fallujah rispetto alla riconquista di Mosul dimostrerà solo nei prossimi
mesi la sua efficacia. In attesa che inizi la reale offensiva sulla
Capitale irachena del califfato, per il momento le forze governative
stanno conducendo solo campagne minori in previsione della battaglia ad
oggi rimandata e il cui esito sarà probabilmente deciso dalla conquista
della base aerea a nord di Mosul e dalla capacità di resistenza che le
milizie jihadiste sapranno dimostrare.

Lo scontro che interesserà Mosul si presenterà in ogni caso
totalmente differente da quello attualmente in corso ed intaccherà
un’area in cui le capacità di approvvigionamento, il supporto e il
controllo territoriale di Da’ish è ampiamente superiore
rispetto ad aree minori del paese. Mosul rappresenta il cuore del
Califfato e punto centrale del collegamento tra i territori controllati
in Siria e in Iraq; la battaglia che si annuncia qui sarà di conseguenza
molto più complessa e difficilmente garantirà rapida vittoria alle
forze governative.

Nell’analisi dei futuri scontri campali è importante sottolineare
come la composizione delle forze che si oppongono al Califfato sarà
probabilmente fondamentale nel definire non solo l’efficacia
dell’offensiva, ma anche la futura possibilità di resistenza del nemico.
Sebbene apparentemente in contraddizione con molte delle analisi
esistenti, sarebbe ampiamente preferibile che la direzione
dell’offensiva venisse mantenuta da forze locali, preferibilmente
sunnite. Un massiccio intervento occidentale, sebbene probabilmente
risolutivo nella sconfitta territoriale di Daesh, rischierebbe
infatti di generare un vantaggio strategico per il Califfato,
consentendo una polarizzazione dello scontro contro il nemico
occidentale e l’uso dell’offensiva come valido strumento di propaganda
per la raccolta di proseliti. Al contrario, se il controllo delle
operazioni dovesse essere mantenuto dalle forze governative irachene gli
uomini di Al-Baghdadi non avrebbero modo di usare la retorica dello
scontro di civiltà e della guerra di religione e non potrebbero di
conseguenza sfruttare il contagio simbolico delle comunità sunnite per
rafforzarsi nuovamente garantendosi nuovi combattenti e sostenitori.

La capacità dello Stato Islamico di auto-sostenersi economicamente non risulta inoltre ancora del tutto intaccata; Daesh
ha perso appena 1/5 delle sue risorse energetiche e infrastrutturali, e
può contare tutt’ora su introiti derivanti dallo sfruttamento dei
giacimenti che si aggirano intorno ai 23 milioni di dollari al mese

La natura di Da’ish di fenomeno ibrido territoriale e
immateriale e di polo di attrazione simbolica e confessionale fa sì che
difficilmente la sola sconfitta militare possa annullare del tutto il
fenomeno e garantirne la definitiva eliminazione.

Anche ammesso di riuscire a sradicare integralmente le milizie fedeli
al Califfo dai territori di Siria ed Iraq, la difficile pacificazione
delle due aree rischierebbe di costituire terreno fertile per
un’eventuale rinascita del fenomeno che non sarebbe del resto del tutto
sconfitto in ragione dell’ampia rete di auto-affiliati che esso è stato
fin qui capace di garantirsi in paesi anche molto distanti dal suo
centro di potere territoriale. Non va dimenticato inoltre che
l’espansione delle province jihadiste nei paesi limitrofi, sebbene di
entità molto minore rispetto a quanto non sia avvenuto in Siria ed Iraq,
seguirebbe un processo ampiamente indipendente dall’esito degli scontri
territoriali nelle terre del Califfato.

In sostanza è bene richiamare gli analisti alla cautela e smorzare le
previsioni di una facile eliminazione della minaccia nel breve periodo.
Un simile esito è certamente possibile in ragione degli ampi elementi
di debolezza del califfato, ma non potrà essere raggiunto senza prima
analizzare attentamente le diverse componenti del fenomeno e in mancanza
di una strategia integrata capace di sostituire nelle popolazioni
sunnite della regione (e in quelle risiedenti all’estero) una nuova
fedeltà che si opponga a quella – reale o potenziale – verso la causa
del Califfato.

Senza adeguate strategie di comunicazione capaci di destrutturare,
con l’aiuto di personalità riconosciute del mondo islamico, il messaggio
religioso, sociale e indennitario veicolato da Daesh; e senza la
capacità dei governi di Damasco e Baghdad di recuperare controllo e
sostegno da parte delle rispettive popolazioni, qualunque scenario di
rapida vittoria appare, per il momento, del tutto ottimistico.

Marlene Mauro è Ricercatrice associata dell”IsAG, Programma “Antiterrorismo Internazionale”.

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