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La Cina al bivio. Crescita economica e distruzione dell'ambiente

La questione su cui Pechino dovrà prendere posizione è complicata ma ineluttabile: come continuare la rapida crescita senza far precipitare l’ambiente in un baratro?

La Cina al bivio. Crescita economica e distruzione dell'ambiente
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5 Novembre 2014 - 09.30


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di Lara Marie Djurovic*

In anni recenti la Cina è passata da un’economia di Stato a un’economia di mercato e da paese in via di sviluppo ad una nazione progredita. Questi cambiamenti complessi hanno prodotto contraddizioni inevitabili. Se le attuali disparità dell’economia cinese, lo “squilibrio degli investimenti” o il suo “squilibrio esterno”, rappresentano rischi di breve/medio periodo per la sostenibilità della crescita, il vero problema è però legato ai fattori ambientali e socio-politici di lungo periodo che minacciano non solo quest’economia, ma il futuro dell’intera nazione e della comunità internazionale.

Le questioni più urgenti che riguardano il futuro cinese sono l’esaurimento di sorgenti d’acqua non riciclabile, la crescita della popolazione, il degrado ambientale, il consumo di energia, l’inquinamento dell’aria, e, infine, la minaccia per la stabilità civile e lo Stato che simili contraddizioni potrebbero innescare.

Questo saggio esaminerà ogni aspetto nel tentativo di comprendere quali siano gli ostacoli per una crescita sostenibile cinese e una sua espansione futura, cercando di capire se le misure del governo per attenuare le minacce siano davvero adeguate, oppure siano mere soluzioni soluzioni-tampone per mettere a tacere gli spettatori preoccupati, mentre nella realtà si continua a legittimare uno sviluppo pericoloso e irrefrenabile.

Negli ultimi trent’anni la Cina ha distrutto le sue sorgenti acquifere con un quarto della terra agricola ridotta ora a deserto[1]. L’acqua non è una risorsa riciclabile. Oggi più della metà della popolazione cinese (700 milioni di persone) manca di un accesso diretto a questo bene di prima necessità[2]. Percentuali di popolazione più numerose, con un più alto consumo pro-capite delle risorse regionali, aggravano la scarsità. La carenza idrica in gran parte nella Cina settentrionale e occidentale ha ormai raggiunto un livello critico tale da ostacolare, come vedremo, un ulteriore progresso economico[3].

Nel prossimo futuro, perfino le grandi città inizieranno a sentire la stretta della scarsità. L’attuale capacità di approvvigionamento d’acqua di Shanghai è di circa 16 milioni di tonnellate al giorno, che è in grado di coprire il fabbisogno di 26 milioni di persone. Una volta che la popolazione avrà raggiunto i 30 milioni, la domanda salirà fino a 18 milioni di tonnellate superando la capacità attuale, e si calcola che Shanghai raggiungerà i 30 milioni di abitanti in circa sette anni[4]. Le falde acquifere di Pechino riforniscono il 50% della città, ma tale livello scende di un metro l’anno, provocando il cedimento del terreno in tutta la regione a causa delle eccessive trivellazioni sotterranee[5]. A peggiorare la situazione, queste città con le loro industrie producono ogni giorno centinaia di migliaia di tonnellate d’acqua di scarico fortemente inquinata, gran parte della quale si riversa nei fiumi. I bacini sono sempre più carichi di prodotti chimici e sali pericolosi, tra cui il benzene cancerogeno[6].

Il crescente inquinamento dei fiumi principali, come il Fen o Il Fiume Giallo, minacciano l’economia almeno in due modi. L’inquinamento limita la crescita industriale del territorio e causa problemi di salute alla popolazione. Alti funzionari governativi ammettono che i danni finiranno per essere maggiori dei benefici recati dalla crescita economica. E tuttavia la maggior parte delle soluzioni finora elaborate (dalla conservazione e il riciclaggio, fino al pompaggio a 150 km dal Fiume Giallo, che attualmente si trova già impoverito) richiedono nuove tecnologie e grandi investimenti di capitali ancora assenti dai grandi piani governativi, nonostante che l’attuale sviluppo industriale rischi a breve la minaccia di un crollo rilevante.

L’ultimo piano quinquennale (2011-2015) ha fissato obiettivi di sostenibilità strabilianti per quanto riguarda il taglio dell’energia e l’intensità d’acqua per unità di PIL. Tutti questi obiettivi sono fondamentali per l’inverdimento della Cina, ma non sono sufficienti se la popolazione continuerà ad aumentare e la produttività industriale non verrà sorvegliata in misura maggiore. Inoltre resta comunque sospeso un interrogativo: il pianeta sarà in grado di far fronte al massiccio consumo energetico della Cina?

La Cina è povera di petrolio e ricca di carbone, che brucia in quantità maggiore rispetto a Stati Uniti, Unione Europea e il Giappone messi assieme[7]. Nel 2010 ha rappresentato, da sola, il 20% della domanda globale di energia. Superando gli Stati Uniti, è diventata il più grande consumatore mondiale. Negli ultimi decenni, la Cina ha infatti ampiamente beneficiato di una tendenza globale che trasferisce la produzione ad alta intensità di manodopera dai paesi del primo mondo a quelli in via di sviluppo. Poiché questi ultimi possiedono in genere tecnologie di produzione meno progredite e hanno meno vincoli ambientali, il trasferimento ha determinato un aumento del consumo di combustibili fossili e una devastazione ambientale. Tuttavia i paesi avanzati, che hanno politiche ambientali rigide, hanno deciso di imporre tariffe sul commercio di beni composti da grandi percentuali di carbonio per impedirne una maggiore diffusione. E poiché i dazi imposti sul carbonio nelle nazioni OCSE penalizzano i paesi che ne fanno un’esportazione intensiva, i paesi non OCSE (come la Cina) potrebbero subire gravi perdite d’introiti. Un’ analisi recente ha stimato che, per effetto di tali obblighi, la Cina avrebbe già subito una diminuzione di PIL pari al 4%[8].

Inoltre, secondo uno studio pubblicato sulla rivista medica britannica The Lancet, nel 2010 circa 1,2 milioni di persone sono morte prematuramente a causa dell’inquinamento atmosferico, e questo rende tale fenomeno la quarta più grande minaccia per la popolazione cinese[9]. Ciò è dovuto soprattutto al fatto che la Cina è il più grande produttore mondiale di acciaio. A causa di questo come di altri progetti industriali ad alta intensità produttiva, il paese è affetto da una grave e crescente contaminazione dell’aria tale da determinare rischi disastrosi per la salute delle persone. Tra il 2001 e il 2011 l’incidenza del cancro al polmone a Pechino è raddoppiata: fra le vittime ci sono anche numerosi non fumatori[10].

Alcuni scienziati hanno avvertito che la percentuale tossica nell’atmosfera ha raggiunto livelli così allarmanti in grado addirittura di rallentare il fenomeno della fotosintesi clorofilliana. Ciò potrebbe scatenare gravissimi ostacoli al processo di approvvigionamento alimentare del paese. C’è il rischio che le autorità perdano il controllo del territorio diffondendo il caos tra la popolazione.

Il peggioramento delle condizioni atmosferiche comporta anche, nel tempo, un significativo tributo economico: ha imposto per esempio la diminuzione di voli aerei, la chiusura delle fabbriche e di autostrade, la chiusura delle città a giorni alterni per i veicoli. Secondo He Dongxian, professore associato presso la Facoltà China Agricultural University di risorse idriche e di Ingegneria Civile, nuove ricerche suggeriscono che, se lo smog persiste, l’agricoltura cinese soffrirà condizioni “in qualche modo simili ad un inverno nucleare”[11].

Nonostante tutto, diversi fattori ostacolano la vigilanza sull’inquinamento cinese. Anzitutto la forte dipendenza del paese dal carbon fossile che costituisce il combustibile principalmente in uso e che viene impiegato, soprattutto, nel campo della costruzione edilizia. In secondo luogo, la mancanza di interventi di programmazione politica orientati al rallentamento della crescita industriale rappresenta un ulteriore ostacolo, soprattutto a causa delle resistenze proprie del settore industriale. La maggior parte delle fabbriche cinesi e delle centrali elettriche limitano le loro emissioni di vapore sulla base di margini estremamente flessibili e le multe dovute all’inquinamento sono generalmente inferiori ai costi di controllo[12]: insomma sono convenienti.

Tuttavia, anche se la sostenibilità ambientale sembra di minore importanza rispetto ai vantaggi economici continui e immediati, vi è anche una crescente consapevolezza delle vulnerabilità associata al forte uso di energia per le esportazioni. Per cui il governo ha anche attuato politiche volte a ridurle. Ad esempio, sono stati costituiti una serie di sussidi e iniziative d’investimento pubblico per incrementare il settore dell’efficienza energetica, che ha come obiettivo una quota di servizi pari al 47% del PIL nel 2015[13]. Inoltre, a partire dal 2004, riduzioni di sgravi fiscali e aumenti delle tariffe sono stati applicati all’esportazione di prodotti ad alta intensità energetica[14].

La questione su cui il governo cinese dovrà a un certo punto prendere posizione è complicata ma ineluttabile: come possono continuare la loro rapida crescita senza far precipitare l’ambiente in un baratro? Esistono innumerevoli teorie su come rallentare il cambiamento climatico; ci si chiede anche se il cambiamento climatico sia perfino un problema reale. E tuttavia è difficile oggi considerare irrilevante, soprattutto osservando la distruzione dell’habitat cinese, l’impatto umano sull’ambiente.

Nel 2008 la Cina ha già diminuito in modo concreto le emissioni globali di CO2 fino al 23% rispetto agli Stati Uniti, che sono invece al 19%, e all’Unione Europea, che si trova al 13%[15]. Il carbone è responsabile di oltre l’80% dell’inquinamento, rendendo cruciali nel prossimo decennio i provvedimenti della Cina per il suo futuro e per il futuro del mondo intero. Le riforme attuali potrebbero non essere sufficienti per contenere le esigenze di una popolazione in continua crescita a causa delle risorse necessarie da reperire e della massa di rifiuti che si devono produrre.

Quindi il deperimento ambientale conduce all’impoverimento economico e corrode al contempo la solidità delle stesse istituzioni, provoca conflitti interni dovuti a carenze di vari tipi (energetica, economica, alimentare)[16].

Degrado delle risorse e impoverimento colpiscono spesso la produttività economica dei paesi in via di sviluppo, contribuendo in tal modo all’aumento delle privazioni. Vaclav Smith, ad esempio, ha stimato l’effetto combinato dei problemi ambientali sulla produttività economica della Cina. I principali ostacoli che identifica sono la riduzione dei campi di raccolta causata da inquinamento di acqua, suolo e aria, l’inquinamento dell’aria a causa dell’intensiva mobilità umana legata ai trasporti, la perdita di terreni agricoli a causa di costruzioni e di erosione del terreno, la perdita di derrate alimentari e le inondazioni a causa dell’erosione del territorio e la deforestazione, la perdita di legname dovuto a pratiche di raccolta sbagliata.

Smith calcola il costo corrente di tali oneri in almeno il 15% sul PIL, ed è convinto che il prezzo economico da pagare è destinato ad aumentare nei prossimi decenni[17]. Solo due paesi al mondo hanno terreni coltivabili inferiori a quelli della Cina, e sono l’Egitto e il Bangladesh. La Cina ha poco spazio per espandere i terreni irrigati, anche se potrebbe ampliare l’irrigazione in alcune regioni[18]. Inoltre il terreno rimanente è spesso di bassa qualità; ogni anno il paese perde tanto azoto e fosforo da erosione del suolo in quanto si utilizza un tipo di fertilizzante organico.

L’impoverimento ambientale aumenta le pressioni finanziarie e politiche sui governi. Per compensare le ripercussioni sociali dovute alla perdita d’acqua, di suolo e di foreste, il governo sarà obbligato a spendere ingenti somme di denaro a favore dell’industria e le infrastrutture per edificare nuove dighe, gli impianti d’irrigazione, gli impianti di fertilizzanti, e attuare programmi di riforestazione[19]. Insomma, un divario crescente tra le esigenze della popolazione e la capacità dello Stato nel soddisfarle, insieme con gli interventi economici sbagliati, si potrebbero aggravare le rimostranze civili e, fra le stesse élite, la rivalità tra fazioni politiche avverse, esautorando la stessa legittimità dello Stato centrale[20].

Le questioni ambientali, infine, potrebbero causare addirittura una frammentazione del Paese. Ma questa per ora non è stata una grande preoccupazione: infatti la maggior parte degli esperti sono stati distratti piuttosto dalla fenomenale espansione economica delle zone costiere, e hanno avuto la tendenza a applicare questa linea (economica-industriale) anche a tutto il resto del territorio nazionale. Al contrario, noi crediamo che il costo di una lettura erronea delle condizioni ambientali potrebbe essere molto elevato. La scarsità di risorse potrebbe effettivamente portare in futuro a disordini civili e alla disintegrazione dello Stato, che non solo danneggerà l’economia cinese, ma che avrà anche ripercussioni di enorme portata oltre i propri confini.

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*Lara Marie Djurovic ha studiato Economia politica all’Università di Sydney. Questo saggio è stato presentato, nel 2014, all’interno del seminario China and World Economy, diretto da Joseph Halevi, che ringraziamo per averci concesso la pubblicazione in anteprima. La traduzione italiana è di Jacopo d’Alessio.

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