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Nel teatro di una scuola milanese gli studenti si interrogano, alzano la mano, si contestano a vicenda, cercano una soluzione. Gli italiani sono tutti mafiosi? [Miriam Cuccu]

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24 Marzo 2015 - 12.40


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di Miriam Cuccu

A chi pensa che ormai per questo paese allo sfascio non c’è speranza, che “ai miei tempi sì…” mentre oggi “non frega niente a nessuno”, io inviterei a tornare a scuola per farsi due chiacchiere con i nostri studenti. Etichettati come la generazione del social, del tweet, delle app, ragazzi e ragazze oggi osservano questo mondo grigio e triste sbandierato sui tg e si fanno due conti. Pensano all’estero: Germania, Francia o forse l’America, chissà… tanto qui non c’è lavoro e se hai soldi bene sennò tanti saluti, soddisfazioni non ne avrai mai. E poi c’è questa mafia. Incolore, inodore, ormai ovunque, si prende le aziende, si compra politici e imprenditori con la forza del denaro liquido, ormai sempre più scarso nei circuiti legali della nostra economia.

Nel teatro di una scuola milanese gli studenti si interrogano, alzano la mano, si contestano a vicenda, cercano una soluzione. Gli italiani sono tutti mafiosi? Nel senso, mafiosi dentro? O è colpa della crisi, dello Stato che non c’è? E poi, questo Stato chi è davvero? Dov’è, cosa fa?

Infine, la domanda delle domande: cambiare è possibile? E come?

Non è facile dare una risposta a questi interrogativi, ma le discussioni si moltiplicano. Ci si chiede cosa spinga l’uomo ad accettare un compromesso piuttosto che rifiutarlo, quante e quali variabili, nella vita, possono portare a un “sì” o a un “no” quando il mafioso ti bussa alla porta. Si cerca, insieme, di tirare le fila. Il rischio di cadere nel pessimismo è alto perché, in fondo, la realtà è quella che è. I tassi di corruzione del nostro paese – l’unico in Europa la cui storia è stata scritta dalle bombe, dal dopoguerra in poi – sono sempre più alti, e il potere economico della mafia si impone di più e con più violenza che altrove.

Questa classe dirigente non ha fatto altro che uccidere ogni forma di possibilità di riscatto, dalla cultura, all’arte, dall’istruzione alla stessa politica. Ma a consentirlo è stata quell’indifferenza, quell’incessante bisogno di delegare le proprie responsabilità al di fuori, che così a doppio filo sembra essere legato con il dna dell””italiano medio”.
Dunque?, chiedono alcuni. Dunque cambiare rotta si può. Certo, non è facile né immediato, ma se anche Paolo Borsellino, qualche ora prima di saltare in aria, scriveva di essere ottimista, nessuno può sentirsi in diritto di spegnere quella speranza.

Qualcuno è più pessimista, sostiene che la mafia non potrà finire ma si limiterà a cambiare forma, sempre diversa ma in eterna simbiosi con il potere legittimo. Certo, ma solo se noi lo vogliamo! Perché la vera battaglia, oggi, è sradicare la rassegnazione che ci fa piegare la testa e incurvare le spalle, che ci fa pensare di essere vittime di un destino troppo grande per poterlo cambiare. Ragazzi, guardiamoci intorno, il futuro è nelle nostre mani e sta a noi decidere come plasmarlo. E se si osserva bene, in mezzo a tutto questo grigiore c’è già chi si è rimboccato le maniche e insegue il suo sogno. Sono quelli che, nel tempo, hanno saputo riconoscere il valore di una buona idea ben più di un portafoglio gonfio, quelli che di solito vanno controcorrente e che fanno più fatica. Alcuni per questo sono morti, ma altri sono arrivati dopo, prendendo il loro testimone.

Nel teatro della scuola Rudolf Steiner di Milano riecheggiano le parole di Letizia Battaglia, straordinaria donna e fotografa che negli anni Ottanta fotografava i morti ammazzati per le strade di Palermo, a volte anche cinque al giorno. Oggi ha 80 anni e ancora tanti sogni da realizzare:

“Lottare ha sempre un senso – dice in una recente intervista – Non bisogna fermarsi mai. Io credo, però, che non si debba lottare con animo ‘guerriero’, non mi interessa quello spirito, penso che la guerra sia diversa dalla lotta. Io non voglio ferire nessuno, né voglio scavalcare nessuno. La lotta è un’altra cosa: lotti per il pane, per la pace, per la bellezza, per il tuo onore, per difendere la tua fragilità. Io me la sento questa bellezza: a 80 anni non mi sono chiusa nel mio egoismo, non so da dove mi arrivi questa forza, ma nonostante i miei problemi fisici sento forte di rimanere a testa alta, senza piegarmi e senza accettare compromessi”.

E allora, si può lottare per un sogno? Si può, si può…

(23 marzo 2015)

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