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La rivoluzione (colorata) francese

'Gli USA accelerano la deglobalizzazione conflittuale. Cambia tutto. Hollande attacca l''austerity tedesca, ma per riportare l''Europa nell''ovile del TTIP. Ecco lo scenario. [P.Pagliani]'

La rivoluzione (colorata) francese
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2 Ottobre 2014 - 21.49


ATF

di Piero Pagliani.

Hollande in
rotta di collisione con l’austerity della Merkel?

È una
notizia buona o cattiva?

Per certi
versi è la riesumazione di alcune delle idee con le quali il socialista
francese approdò all’Eliseo nel 2012. All’epoca erano più o meno confezionate
così: nei vincoli europei non deve essere conteggiata quella parte di deficit
che serve a rilanciare lo sviluppo.

Un
programma quindi tenuto in sonno per due anni, nonostante la situazione
economica in Francia peggiorasse in termini esponenziali. Ora, evidentemente,
qualche cosa è cambiato. Cosa? Molte cose. Per ordine d’importanza, anche se sono
tutte interlacciate in modo complicato:

1) Gli USA
stanno stringendo i tempi della deglobalizzazione conflittuale.
Il golpe nazista a Kiev ha, in questo rispetto, contribuito a isolare la UE, e
in primis la Germania, dalla Russia: Fuck the EU! (Victoria Nuland,
responsabile per l’Europa della Segreteria di Stato USA).

La Francia
interpreta con fedeltà la politica statunitense. I tempi di De Gaulle ormai
appartengono ad altre epoche geologiche. François Hollande si è lanciato con entusiasmo
nella tragica messa in scena della guerra all’ISIS e sicuramente tutte le
cancellerie europee sanno che sta iniziando una nuova fase della crisi
mondiale che sarà condotta con feroci attacchi militari alla Siria
(quindi alla Russia) con la scusa dell’ISIS (ammissione fresca fresca del principe Saud bin Faysal, ministro degli Affari Esteri saudita)
e con atti di destabilizzazione in territorio russo. Quelli in
territorio cinese sono già iniziati a tenaglia (si veda ad esempio un articolo
di Pierluigi Fagan, “Il ciclo delle destabilizzazioni entra in Cina”).

Era
difficile prevedere ciò? Proprio per nulla. Io ad esempio – adesso mi faccio un
po’ di pubblicità spicciola e svelo un piccolo segreto – l’inizio della deglobalizzazione
l’avevo previsto per il 2001 in un romanzo
intitolato “Il
punto fisso
” (Mimesis, Milano, 2010) che ho scritto alla fine degli
anni Novanta. Ovviamente non avevo previsto le Torri Gemelle e il 2001 era chiaramente
una data-simbolo. Però la deglobalizzazione e le lotte soggiacenti, dove
intervenivano entità statali e sub-statali, erano lo sfondo di tutta la
vicenda. Poi visto che il romanzo è stato pubblicato nel 2010 ho dovuto
trasportarne l’inizio a un decennio dopo. Trucchetti di scrittore. Fatto sta
che in qualche modo l’ubriacatura generale per la famosa “globalizzazione” non
mi aveva contagiato. Capacità superiori alla media? Macché! Ero solo stufo dei
bla-bla e delle parole magiche. Sì, in qualche misura ci ho visto giusto per
pura stanchezza, con l’ausilio di poche informazioni scelte e di un minimo di
logica. Sale QB.

Ma lasciamo
perdere.

Hollande,
dunque, si agita e la Merkel sta a guardare perplessa e preoccupata.

2) La
Germania è entrata in difficoltà
e fa fatica a mantenere la barra europea
di una politica di austerity. Dapprima le risultava vantaggiosa, ma ha infine
iniziato a segare l’albero su cui era seduta, come era facilmente prevedibile.

Non c’è
nulla da fare. La Merkel è il meglio che ci sia in Europa attualmente (quindi
capirete il resto!) ma la sua strategia di resistere ai piani
imperial-finanziari anglosassoni per via economico-finanziaria era destinata a
fallire dopo aver procurato disastri politici, economici, sociali e umani
impressionanti.

Non ci
si oppone a un complesso Denaro-Potere solo col Denaro
. Non ce la si fa, punto e basta.

3) Infine
ci sono le difficoltà, più che ovvie, di tutti i governanti europei, che straparlano
di nuovo sviluppo e di “riforme” (leggi “massacri sociali”) che riporteranno il
vento in poppa, proprio mentre hanno tutto il vento della crisi sistemica di
prua. Così tentano di andare di bolina. Cercano, letteralmente, di barcamenarsi
per non finire troppo presto nella pattumiera della storia, loro inevitabile
destinazione.

Ma sono
dei meschinelli, capaci solo di finire contro gli scogli
. Purtroppo con
tutta la barca.

Vedremo come
reagiranno alla svolta francese le basi missilistiche finanziarie di New York.

Profezia:
non succederà niente di che, solo quanto basta per estorcere le “riforme”. Dopo
di che Renzi seguirà Hollande e infine Draghi porterà gli affondi finali contro
la Germania. A quel punto addio a ogni pur flebile Ostpolitik e sotto
col TTIP

al suono di Glory, Glory, Hallelujah.

Dopo tutto
lo “Sblocca Italia” anticipa le richieste del TTIP. E poi dicono che noi
Italiani siamo sempre in ritardo!

Tutto ciò a
meno che intervengano i BRICS con mosse finanziarie oggi difficili da
prevedere, anche perché non perseguono politiche omogenee.

Se
Berlusconi faceva una fronda cialtroncella all’austerity teutonica, la guerra è
stata invece iniziata da Monti, in concorso con Draghi, Hollande e Obama. Paradossalmente
sotto la bandiera dell’austerity stessa. Infatti quel conflitto non escludeva
l’utilizzo della crisi per “normalizzare” la società (una strategia che
a Monti è sempre stata a cuore), cioè appiattirla in vista del disperato e
disperante tentativo di estrarre tutto il plusvalore possibile e saccheggiare i
beni comuni
. Era, e sono, due cose diverse. Non capirlo ha portato la parte
migliore della sinistra a significativi errori di prospettiva.

Ora, è mio
timore, la sinistra esulterà per la “ribellione” all’austerità. Indicherà il
“socialista” Hollande come esempio positivo, colui che ha avuto il coraggio di
dire di no.

E in
effetti sarà una vera e propria “rivoluzione colorata” anti-austerity e
anti-tedesca, quel tipo di rivoluzione che più eccita le sinistre, incuranti
dei “forti” che stanno dietro di esse.

Hanno perso
totalmente la memoria della poetica e della saggezza manzoniane:

«E il
premio sperato promesso a quei forti,
Sarebbe,
o delusi, rivolger le sorti,
D”un
volgo straniero por fine al dolor?
»
 Ma
chissà chevvordì.

E il resto
del mondo (cioè i sei miliardi su sette)?

I paesi
BRICS, al contrario della Germania, hanno invece capito che possono parlare di Nuova Banca di Sviluppo e magari di bancor (la soluzione per la moneta
internazionale proposta da Keynes a Bretton Woods e rifiutata per questioni di
potenza dagli USA) solo se si è muniti adeguatamente di forze armate e di bombe
atomiche.

Questa è
l’orrenda verità
.

D’altra
parte il gold-dollar standard era nato da una guerra mondiale ed è stato
confermato da due città incenerite dalle bombe atomiche, che del gold-dollar
standard
sono state l’ostia della prima comunione.

Poi c’è chi
crede che l’economia sia l’unica cosa che conti nel capitalismo! E purtroppo ce
ne sono più a sinistra che a destra. E così si crede nell’economia meccanica:
“ritorno alla lira=nuovo sviluppo” (perché lo dicono i modelli, nei quali,
ovviamente, non si parla né di guerre né di bombe atomiche, cioè non si parla
di Potere).

Non è
comunque escluso che un po’ di sviluppo ci sarà, magari a macchia di leopardo,
qui e là, in questo o quel settore. Dopo tutto ci fu un miglioramento dell’economia
anche poco prima della Grande Guerra: era dovuto al riarmo.

L’imbelle
rivoluzione colorata contro l’austerity imposta dalla Germania ha come scopo non
unico, ma principale, quello di passare da un parziale a un totale
infeudamento della UE nelle politiche neoimperiali e di deglobalizzazione statunitensi
.

Le
politiche di austerità sono un disastro. Ma è anche un disastro pensare che
politiche “keynesiane” sic et simpliciter riportino all’age d’or
del Dopoguerra. Non sarà così. La BCE
che compra titoli di Stato non è la
Banca d’Italia degli anni Cinquanta che compra il debito italiano. E neppure se
lo facesse oggi una rinata Banca d’Italia. Nemmeno lontanamente. Non sarebbe
più una politica monetaria dopo un conflitto mondiale, all’ombra di una
stabilità imperiale, in una fase di enorme espansione in presenza di un
fortissimo movimento operaio. Sarebbe – ammesso che si possa realizzare – una
politica obbligata da uno stato incipiente di guerra e nel pieno di una crisi e
di un caos sistemici. Una politica dovuta al fatto che i mercati stanno
dividendosi in aree geopolitico-economiche contrapposte e i profitti di una
volta semplicemente non ci sono più.

La Germania
è contraria alle linee di Draghi. Ma fino a quando si potrà opporre se sarà
costretta ad adeguarsi agli embarghi e le sanzioni contro l’Est che le imporrà la Superpotenza che la occupa con 179 basi militari? Senza mercati di sbocco, che fine farà il suo famoso e famigerato mercantilismo? (lasciamo perdere chi in
Italia imbrogliando le carte dichiara di voler fare adesso quello che la
Germania ha iniziato a fare venti anni fa e che oggi non può più continuare).

La politica
“keynesiana” che in molti, con speranza, vedono profilarsi all’orizzonte non
sarà capace di riportare indietro le lancette della Storia. Ovvero non
sarà in grado né di fermare l’impoverimento della società né di indurre un
ribilanciamento della ricchezza.

Ci vuole
altro, un altro che può anche contemplare “manovre keynesiane”, compreso  eventualmente un affrancamento dall’Euro, ma solo
in una cornice politica nazionale e internazionale totalmente nuova.

Non di
meno, come si è detto, ci potranno essere ripresine a singhiozzo. Niente di
stupefacente, anche se i media grideranno al “nuovo miracolo economico” (d’altra
parte lo fanno ogni volta che un loro “azionista di riferimento” smette di
starnutire).

Se nuovo
sviluppo capitalistico ci sarà in Occidente, ci sarà solo dopo una fase
conclamata di guerra mondiale

che inevitabilmente ne preparerà una quarta, a meno che non riduca fin da
subito la Terra all’età della pietra.

Oppure
bisognerà cambiare registro, a livello internazionale: sul modo sociale ed
ecologico di produrre e di consumare e quindi – e soprattutto – sui rapporti di
potere, internazionali e nazionali.

Delle due l’una.

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