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Radiografia di un sistema politico

Come è diventato il sistema politico italiano dopo 5 anni di tripolarismo? Conviene parlarne prima del 4 marzo per poi poter fare i raffronti. [Aldo Giannuli]

Radiografia di un sistema politico
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23 Febbraio 2018 - 07.00


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di Aldo Giannuli

Come è diventato il sistema politico italiano dopo 5 anni di tripolarismo? Conviene parlarne prima del 4 marzo per poi poter fare i raffronti. A mio avviso abbiamo un sistema pentapolare articolato come segue:

• al centro i partiti di sistema; Fi, Pd e centristi vari
• ai due poli estremi i partiti antisistema Lega e M5s
• in posizione intermedia fra il centro e i poli, rispettivamente Fratelli d’Italia e Liberi ed Eguali

Qualche chiarimento: uso l’espressione antisistema per indicare i due raggruppamenti di protesta, più per il fatto che sono percepiti come tali che per quel che sono effettivamente. In secondo luogo, le posizione descritte non sono fisse ed immutabili: i partiti tendono a modificare la loro collocazione e la loro immagine in base alle fasce di elettorato che intendono conquistare, ad esempio il M5s sta cercando di non essere percepito come antisistema (vedi l’opposizione all’Euro lasciata cadere) per conquistare voti nel grande centro moderato (che poi possa riuscirci o no è altro paio di maniche).

In terzo luogo collochiamo convenzionalmente la Lega a destra ed il M5s a sinistra, pur sapendo ce entrambi i partiti non si riconoscono in queste espressioni ed ospitano al proprio interno posizioni molto contrastanti (ed il M5s più che la Lega), ma dovendo descrivere graficamente la rispettiva collocazione siamo costretti a collocarli sulla destra o sulla sinistra del foglio perché, altrimenti, occuperebbero il medesimo spazio, il che sarebbe fonte di equivoci, quindi, per ora queste espressioni hanno un valore meramente spaziale. Registriamo, però, una certa asimmetria, perché il M5s è più composito della Lega e perché esso non è coalizzato a nessuno ed è in movimento, mentre la Lega lo è (e non da oggi) con Forza Italia ed è più stabile. Infine, l’ asimmetria si accentua in considerazione del ruolo delle “mezze ali” FdI e Leu: infatti FdI è coalizzata con Fi e Lega, mentre Leu non è coalizzata né con il M5s né con il Pd (anche se nelle amministrazioni locali, spesso lo è con il Pd).

Passiamo all’esame delle caratteristiche dei rispettivi elettorati distinguendo fra elettorato di appartenenza (legato ad un certo partito da vincoli ideologici, di interesse, di abitudine ecc), ed elettorato “fluttuante” diviso fra quello “utilitarista” (che vota un partito calcolando le sue possibilità di successo) e quello “oppositivo” (che vota un partito più in opposizione ad altri che per adesione al partito votato).

Il centro, che designiamo come “la grande palude”, ha un elettorato di appartenenza (più sul fianco del Pd che su quello di Fi) che è decisamente meno consistente di quello “utilitarista” (in cui si iscrivono quasi totalmente gli elettori di centro, i vari Udc, Scelta civica, Ala eccetera). Si tratta dell’elettorato governista per vocazione e che teme ogni cambiamento come avventura. Da sempre Pd e Fi erano assai simili nei programmi e nella cultura politica, ma i rispettivi elettorati si percepivano come antitetici nel formato bipartitico del sistema, ma, da quando si è manifestata la presenza del M5s (ed in particolare dal governo Letta in poi), hanno gradualmente attenuato la reciproca repulsione ma senza annullarla, E questo come hanno dimostrato sia il referendum costituzionale che i ballottaggi, in cui quote consistenti di elettorato di volta in volta del Pd o della destra, preferivano votare M5s che l’altro polo di centro, comportandosi, in questo caso come elettorato “oppositivo”.

Negli ultimi anni ci sono stati consistenti flussi di elettorato della grande palude verso i poli estremi (più da sinistra verso il M5s che da Fi alla Lega) che hanno gonfiato i comportamenti oppositivi. Ma la mobilità più accentuata è interna alla “grande palude”: data la forte presenza di elettorato utilitarista, si registra una grande mobilità da un polo all’altro fra quelli interni al sistema e questo spiega il rapido “squagliamento” della lista Monti, il 41% del Pd rapidamente calato, l’attuale resurrezione di Fi, ecc. Dunque un elettorato relativamente stabile nel grande centro ma molto mobile al suo interno e con moderati flussi in uscita verso i partiti intermedi o i poli estremi, generazionalmente vecchio, territorialmente distribuito, con scarsissima capacità di espansione.

Veniamo all’elettorato dei due poli: la Lega ha un marcato elettorato di appartenenza e un limitatissimo voto “oppositivo”. Esistendo da quasi trenta anni ed avendo sviluppato un complesso apparato simbolico (prevalentemente “nordista” come l’Albetto da Giussano, la stella alpina, eccetera) ha consolidato il suo radicamento. Però questo comporta una limitatissima capacità di espansione perché ha due limiti fortissimi. In primo luogo di natura ideologica: la Lega ha sviluppato un marcato tratto di destra e il civettamento con la destra neo fascista non migliora la situazione perché l’elettorato moderato può non essere sempre antifascista, ma non ama il fascismo ed una cosa che si presenta come prossima al fascismo non la vota (anche se magari si tratta di una percezione eccessiva). In secondo luogo, ma molto più importante, ha un limite territoriale: la Lega è irrimediabilmente percepita come partito “Nordista”, antiromano ed anti meridionale e non basta togliere la parola Nord dal simbolo, candidare la Buongiorno a Roma o simmiottare la Le Pen (il che poi aggrava la percezione della Lega come filo-fascista) per prendere voti a sud della Toscana. Semmai, tendendo troppo la corsa c’è il rischio di perdere fette di elettorato storico al nord (Bossi si è sempre dichiarato antifascista e non ha mai creduto nella calata al sud). La Lega ha un elettorato territorialmente concentrato è generazionalmente distribuita (anche se con una quota di giovani maggiore di quella del grande centro).

Il M5s è un movimento relativamente giovane, per cui ha un radicamento molto più fragile e recente, ma, comunque, ha costruito un suo elettorato di appartenenza di qualche entità, tuttavia prevale nettamente l’elettorato oppositivo che vota “contro”. Il M5s ha avuto una “esplosione elettorale” paragonabile solo a quella di Forze Italia nel 1994, ma occorre tener conto che non aveva le Tv di Berlusconi e che la crisi del sistema politico non era ancora al punto di oggi o a quello del 1992-94. Questo ha ingenerato al suo interno una aspettativa di affermazione rapidissima che, però, non fa i conti con la legge dei rendimenti decrescenti, per la quale ogni ulteriore acquisto costa molti più sforzi dei precedenti. La sensazione è che, voto più, voto meno, il M5s abbia quasi raggiunto il massimo della sua espansione strutturale, per cui, salvo il collasso totale di qualcuno dei suoi contendenti, difficilmente andrà molto oltre, avendo, come la Lega, dei limiti molto forti all’espansione, il più importante dei quali è quello generazionale.

Il M5s raccoglie percentuali molto elevate (superiori al 40%) fra i ventenni, un po’ meno generose fra i trentenni (comunque oltre il 30%), poi calanti man mano che si sale con l’età, sino a una quo ta inferiore al 15% fra gli ultrasessantenni. Dati che, sia pure con molta approssimazione, rispecchiano quelli della familiarità con il web, massima fra i ventenni e minima fra gli ultrasessantenni e val la pena di ricordare che quello è l’unico media in cui i 5s hanno una presenza massiccia. C’è poi un altro limite che un po’ si intreccia con il precedente, quello di natura professionale. Il gruppo parlamentare di 5 stelle è il primo o il secondo (non ricordo bene) per numero di laureati e fra quelli che hanno il maggior numero di lavoratori qualificati (ingegneri, tecnici specializzati, docenti, informatici, biologi ecc.) ma –anche a causa della sua pessima comunicazione- è percepito come un gruppo parlamentare a bassissimo tasso di formazione culturale e di disoccupati che hanno trovato modo di rimediare un lauto stipendio senza sforzi e certe uscite in materie di scie chimiche e di vaccini non hanno migliorato l’immagine. Per cui i ceti più sensibili alle qualifiche professionali hanno scarsa propensione a votare il M5s. Tenendo conto che la struttura demografica del nord è mediamente più “vecchia” di quella del sud e che nel nord è più presente la fascia di elettorato più “professionalizzata” i due limiti precedenti si traducono in un terzo di natura territoriale: nel nord (con l’eccezione parziale del Piemonte) il M5s è a valori più bassi della media (in particolare in Lombardia).

E veniamo alle “mezze ali” eredi lontane dei due partiti polari ed ideologici della prima Repubblica,Pci e Msi, con una differenza: FdI ha recuperato sostanzialmente le dimensioni del vecchio Msi (che era appunto sul 5% ed in qualche occasione toccò il 7-8%), mentre Leu recupera solo una piccola parte del fu Pci (che si aggirava intorno al 30%) e l’ha miscelata con diverse altre cose. La funzione di questi partiti è svolgere una funzione di complemento: rappresentare la sopravvivenza di una cultura politica, agire come gruppo di pressione, articolare la proposta politica della coalizione ecc, insomma, la vocazione del cespuglio. FdI è una parte della vecchia An, uscita dal fu Pdl, per un certo periodo si è alleata alla Lega contro Fi, poi ha avuto delle oscillazioni. Infine è rientrata in coalizione: Ha qualche seguito giovanile ed un insediamento prevalentemente meridionale (Lazio, Sicilia, Campania) con una isolata e limitata enclave milanese. Ha un limitato elettorato di appartenenza (un po’ di vecchio Msi e qualche innesto successivo) per il resto ha un elettorato “utilitarista” di secondo grado che fa un gioco di sponda: vota per la coalizione, ma cerca di condizionarla (ad esempio per evitare alleanze con la sinistra) attraverso il voto a FdI. Come tutti cespugli non ha l’obiettivo di assumere la leadership della coalizione ma di gestire il suo spazio residuale, magari accrescendolo per quanto possibile. Dunque, scarse possibilità di espansione e tentativo di resistere nel suo insediamento.

Un po’ più tormentata la storia di Leu che, in primo luogo non è un partito, ma la sommatoria aritmetica (sperando che non diventi algebrica) di tre partitini, e occupa uno spazio che in passato è stato di Rifondazione (e infatti, per ora, i sondaggi gli danno quel 6% che fu la quota di assestamento di Rifondazione, a sinistra del Pds-Ds.Pd). Attualmente non è coalizzata con nessuno, ma, di fatto, opera come gruppo di pressione sterno per un Pd derenzizzato e, d’altra parte, nelle amministrazioni locali, nel sindacato, negli organismi come l’Arci ecc convive con il Pd. Ha un elettorato di appartenenza, ma che “appartiene” non a Leu in quanto tale ma a ciascuno dei tre partitini che l’hanno formata. Quanto all’elettorato fluttuante di opinione vedremo cosa sarà raccogliere fra quelli che non vogliono né Renzi né Di Maio, i segnali di inizio campagna elettorale non sono incoraggianti e si profila il rischio di un flop. E’ probabile che abbiano un certo seguito in Toscana ed Emilia ed in isole come il Salento. Capacità espansive limitate più dalle insufficienze del suo gruppo dirigente che dalla situazione oggettiva. Infatti, Leu ha un bacino potenziale (che, per definizione, è maggiore di quello che si raccoglie effettivamente) stimabile fra il 7 ed il 10% che potrebbe tradursi senza troppo sforzo in un 7-9%, ma che resterà sicuramente sotto quella soglia.

Il limite fondamentale di questa formazione è la totale assenza di iniziativa politica sostituita da piccole mosse tattiche come la ricerca del “capo” ad effetto, qualche polemica occasionale e pochi slogan (come quello sulle tasse universitarie). Di fatto Leu è un ceto politico professionale privo della benchè minima progettualità ed interessato solo alla sua sopravvivenza. Unica testa pensante quella di D’Alema, ma che da sola non compensa il vuoto della proposta. Un cespuglio di serie B, il cui obiettivo è quello di tornare in un Pd senza Renzi. Unico parametro di confronto precedente è il 3% circa di Sel nel 2013 cui, in teoria, dovrebbero sommarsi i voti delle ripetute scissioni del Pd (Civati, Fassina, Bersani-D’Alema) che in teoria dovrebbero aggirarsi fra il 3 ed il 4% e cui potrebbe sommarsi qualche rivolo di elettori delusi del M5s (appunto una forchetta fra il 7 ed il 10% teorico che potrebbe tradursi in un 7-8%) ma che rischia brutte sorprese con flussi di voti in uscita, tanto verso l’astensione quanto verso “Potere al Popolo” se riuscisse ad offrire una proposta politica e delle liste apprezzabili.

Questo il quadro complessivo attuale, il 5 marzo vedremo che linee evolutive si profileranno.

(16 febbraio 2018)

 

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