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Iran nucleare: l'accordo voluto dagli USA e la guerra del pensiero

Un punto di vista iraniano totalmente disincantato descrive come a Teheran ci si attende le conclusioni dei negoziati su energia nucleare e sanzioni [Davood Abbasi]

Iran nucleare: l'accordo voluto dagli USA e la guerra del pensiero
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18 Giugno 2015 - 08.18


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di
Davood Abbasi
.

TEHERAN – Ad una distanza di circa 10.000 chilometri da Washington
c’era una volta un nazione che aveva almeno 3.000 anni di storia alle spalle e
che però, dall’ottocento in poi, era caduta piuttosto in disgrazia.

Infatti dopo la conquista dell’India ad opera di Nadir Sha Afshar
(24 Febbraio 1739, battaglia di Karnal), quella terra millenaria non aveva più
avuto re degni di questo nome ed era entrata in un lento declino.

I cugini degli americani, gli inglesi, avevano di fatto conquistato
quella terra nel 1925, riuscendo a far salire al trono un barbaro e violento
caporale del corpo dei cosacchi, un certo Reza Khan.

Gli americani iniziarono a ficcarci il naso proprio in quegli anni
e tolsero il controllo di quella terra agli inglesi nel 1953 quando con uno dei
colpi di stato meglio riusciti nella storia della Cia, riportarono al potere lo
spodestato figlio di Reza Khan, Mohammad Reza Pahlavi.

Nel 1979 la terra millenaria si risvegliò. E che risveglio: gli
americani vennero buttati fuori in malo modo e ricevettero la più grande
umiliazione della loro storia; le loro spie vennero tenute prigioniere nella
capitale della nazione nel loro covo per 444 giorni; la loro ambasciata oggi è
un museo che i bambini delle elementari visitano per capire che “questi
signori” intercettavano le telefonate nel loro paese con strumenti
all’avanguardia negli anni ’80.

Il risveglio della terra millenaria era spaventoso per Washington:
quella gente a 10.000 chilometri di distanza diceva, per voce del suo anziano
leader, che voleva essere indipendente; non era il solito governo comunista;
questi facevano sul serio: volevano essere “né orientali, né occidentali”. In
più volevano anche sostenere pure “gli oppressi” ovunque nel mondo e “dire no
al colonialismo” e all’arroganza “delle potenze”. La costituzione della nazione
proibiva le relazioni con il Sudafrica per via dell’Apartheid e con Israele per
via dell’oppressione nei confronti dei palestinesi. Il messaggio della nazione,
anche se creatosi in un ambito culturale particolare, aveva una portata
mondiale e l’impatto non sarebbe stato certo trascurabile.

A questo punto anche i rivali sovietici degli americani erano molto
preoccupati e fu così che credettero di aver trovato la soluzione: il signor
Saddam Hussein. 

Gli americani garantirono le foto satellitari, l’aiuto logistico e
i finanziamenti; il mondo arabo, che era così ottuso da non capire che quella
era una liberazione e non una minaccia, diede il suo contributo; l’Arabia
Saudita pagò fior di quattrini; la Russia diede i Mig, la Germania le armi
chimiche, l’Inghilterra le armi leggere, purtroppo pare che pure l’Italia
vendette armi.

Saddam nei primi mesi della guerra conquistò una grossa fetta di
quella terra; ma dimenticava che il nome stesso della sua capitale, Baghdad,
era nella lingua della gente di quell’altra nazione(1); non capiva che stava
attaccando la sua stessa storia, il suo stesso passato, persino sangue del
sangue della sua gente(2). La storia non lo fece aspettare; la nazione
sacrificò 1 milione di vite ma alla fine buttò fuori pure Saddam (1988), che anni
dopo verrà spazzato via per sempre dai suoi ex alleati.

La nazione innominata un nome ce l’ha, e significa “terra dei
nobili, dei puri”. E continua a crescere. Ricostruisce le sue città distrutte
dalla guerra, le sue forze armate riescono a rendere sicuro il paese e le sue
frontiere, la sua diplomazia risulta brillante, tanto da essere presente in
tutti gli scenari regionali importanti.

L’idea di liberazione dei popoli oppressi di questa nazione fà
nascere in Libano il movimento Hezbollah che nel 2000 e nel 2006 riesce a
conseguire un risultato storico senza precedenti: sconfiggere Israele e
liberare i territori libanesi occupati.

I diplomatici della nazione “sfiorano” uno storico risultato e sono
ad un passo dalla soluzione del conflitto tra Armenia ed Azerbaigian ma un
pronto intervento degli americani manda tutto a monte.

La nazione si sviluppa e diventa il nono paese al mondo a inviare
un satellite nello spazio, nel 2009; ha una industria capace di produrre di
tutto, dalle medicine ai cacciatorpedinieri; ha una produzione agricola
rispettabile con prodotti doc come il pistacchio, lo zafferano e il melograno;
una forza che si rispecchia in tutto, nel calcio che arriva ai mondiali, nel
cinema che vince gli Oscar, nell’arte con i tappeti, nella cucina più raffinata
con il caviale. C’è un mondo dentro una porzione di mondo.

La nazione viene colpita con sanzioni, propaganda mediatica, azioni
ostili, azioni golpiste, ma ogni volta è un fallimento. Durante l’era di Bush
junior, gli strateghi del Pentagono mettono a punto almeno 18 piani per
l’attacco al paese, ma ogni volta concludono che l’attacco fallirebbe.

Dopo Bush – che la stessa satira del suo paese ha raffigurato con
quoziente d’intelligenza non lontano da uno scimpanzè – lo studio ovale ospita
un soggetto molto più geniale, un tipo calmo che è pericoloso come una vipera ma che si
traveste molto bene, al punto da ingannare anche il comitato per il Nobel.

Scatena guerre a destra e a manca e anche più di Bush, subdolamente
tiene un basso profilo e lascia fare il lavoro sporco ad altri gruppi o paesi (in
Libia gli alleati europei, in Siria e Iraq l’Isis, in Yemen l’Arabia Saudita),
oppure, se si tratta di Somalia e Afghanistan, preferisce usare i suoi killer
robotici a distanza: i droni. Spesso sceglie lui di persona i bersagli da colpire.

Per gli abitanti della nazione di cui vi abbiamo raccontato la
storia, l”uomo calmo architetta le più perfide sanzioni della storia: non possono fare
transazioni bancarie, fa in modo che non si dia loro nemmeno le medicine per il
cancro, né i pezzi per gli aerei di linea, e proibisce che si acquisti il loro
petrolio. A Ovest obbediscono.

L’inquilino della Casa Bianca sa perfettamente che però queste
buffonate non possono durare a lungo e che presto o tardi gli stessi suoi alleati
che hanno aderito all’embargo inizieranno a stufarsi; ecco che intavola un
negoziato con la nazione e con la scusa di regolamentare il programma nucleare
che la nazione porta avanti insegue l’obbiettivo che la sua nazione ha seguito
dal 1979: porre la parola “fine” al risveglio di quel paese che ora nominiamo:
la Repubblica Islamica dell’Iran.

Troppo pessimisti sugli intenti della Casa Bianca? Allora perchè mai
gli americani insistono affinché nell’accordo sul nucleare si mettano
condizioni che con un programma nucleare civile non c’entrano nulla? Pretendono
il diritto, addirittura, di poter visitare tutti i siti militari iraniani,
quelli dell’esercito, le strutture difensive, le postazioni radar, i sistemi
anti-missili ecc… E non certo a condizioni di reciprocità.

In parole povere il 5+1 chiede una “resa incondizionata” dell’Iran
e quindi la fine di quegli ideali che hanno originato la Repubblica Islamica.
In pratica gli americani vogliono porre fine al sogno di milioni di persone che
hanno fatto la rivoluzione nel 1979 e mettere lì nel bel mezzo del Medioriente
una loro colonia che faccia, più o meno, quello che faceva per loro lo Scià di
Persia prima della rivoluzione.

Ormai molti si chiedono, anche in Occidente, se in Iran, la gente e
le autorità, in primis la guida suprema, l’Ayatollah Seyyed Ali Khamenei, lo
abbiano compreso o meno.

La risposta è sì. Lo hanno capito, sin dall’inizio. Ma allora perché
hanno accettato di negoziare?

Non potevano condannare, agli occhi del mondo, un apparente
tentativo di negoziato; loro che erano la vittima dell’ingiustizia, rischiavano
di passare dalla parte del torto rifiutando il dialogo. L’Iran ha una richiesta
chiara: sviluppare un programma nucleare civile per poter produrre elettricità;
visto che questo è un diritto internazionalmente riconosciuto, non essere
vittima di sanzioni ingiuste.

È chiaro che alla fine, quando verrà fuori quello che il 5+1 ha
chiesto all’Iran invece di un ragionevole accordo sul nucleare, un “no”
dell’Iran sarà compreso molto bene dalla comunità internazionale che a quel
punto vedrà bene da quale parte stava il torto e da quale parte la ragione.

È vero, gli equilibri internazionali non sono basati sul torto e la
ragione né sull’etica, ma all’Iran basterà che il mondo intero “sappia la
verità” anche se poi non potrà attestarlo.

A questo punto cosa farà il capo dell’Impero oceanico? I suoi
compagni di partito non vogliono perdere le prossime elezioni presidenziali.
Deve allungare i negoziati fino al tempo delle elezioni per farli vincere;
oppure deve firmare un accordo e poi, chiaramente, non rispettarlo. Ad esempio
impegnarsi ad abolire le sanzioni e poi agire diversamente.

In altre parole anche il negoziato è un’altra tecnica subdola “di
guerra”, con l’obbettivo di ingannare gli iraniani, danneggiarli, ottenere
informazioni sensibili su di loro, dividerli al loro interno o perlomeno
metterli in cattiva luce dinanzi a quelle popolazioni nel mondo che hanno visto
in loro un esempio.

È quindi guerra aperta, dietro al tavolo dei negoziati nucleari,
una guerra che però si combatte con il pensiero, come in una partita a scacchi.

In conclusione, prevedere le possibili evoluzioni dei negoziati
nucleari potrebbe essere persino un esercizio semplice.

A) Non verrà mai firmato alcun accordo.

B) Il tempo per raggiungerlo verrà rinnovato fino al periodo delle
prossime elezioni presidenziali americane.

C) Gli americani accetteranno dapprima condizioni ragionevoli
dell’Iran per l’accordo (sempre per farne uso strumentale alle elezioni) per
poi violarlo al momento giusto.

NOTE

[1] Baghdad, Bagh (Dio), Dad (donata), in antico persiano significa
“Donata da Dio”.

[2] Gli iracheni, sia nel sud (sciiti) che al centro che al nord
(curdi) sono imparentelati con gli iraniani e di etnia iraniana. Ctesifonte,
storica capitale dell’impero persiano Sassanide si trovava vicino all’odierna
Baghdad.

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