Cosa succede tra la Russia e i sauditi? | Megachip
Top

Cosa succede tra la Russia e i sauditi?

Nella landa degli specchi della tragedia siriana, un fatto di evidenza cristallina: sebbene lontanissimi, i sauditi continuano a parlare con i tussi. Perché? [Pepe Escobar]

Cosa succede tra la Russia e i sauditi?
Preroll

Redazione Modifica articolo

9 Novembre 2015 - 09.31


ATF

di Pepe Escobar.

Tradotto da
ComeDonChisciotte.org.

DOHA – In mezzo alla landa desolata degli specchi che
circondano la tragedia siriana, resta un solo fatto di evidenza cristallina:
nonostante siano apparentemente lontanissimi, i sauditi continuano a parlare
con i russi, perché?

Una ragione
fondamentale è che la perennemente paranoica Casa di Saud si sente tradita dai
propri protettori statunitensi che, sotto l’amministrazione Obama, sembra
abbiano mollato per quanto riguarda l’isolamento dell’Iran.

I Sauditi non
possono comprendere il pendolo di politiche incoerenti della Beltway, causate
dalla lotta di potere tra i neocon sionisti e il vecchio establishment. Non c’è
da stupirsi che siano tentati di saltare dal lato russo della staccionata. Ma
per farlo ci saranno dei grossi dazi da pagare.

Dunque parliamo
di petrolio. In termini energetici, un accordo sul greggio con la Casa di Saud
sarebbe importantissimo per la Russia. Potrebbe creare introiti aggiuntivi per
Mosca per circa 180 miliardi di dollari all’anno. Il resto del CCG (Consiglio di Cooperazione del Golfo) non ha gran peso:
il Kuwait è un protettorato degli USA, il Bahrain un luogo di villeggiatura
saudita, Dubai un parco giochi per il riciclaggio del denaro. Gli Emirati Arabi
stessi sono formati da un gruppo di ricchi cercatori di perle. E il Qatar, come
“Bandar Bush” aveva storicamente affermato, è “300 persone e una stazione TV”,
più una buona compagnia aerea che sponsorizza il Barcellona.

Riad – paranoia
compresa – ha preso perfettamente nota della supposta “politica”
dell’amministrazione Obama volta a scaricare l’Arabia Saudita a favore
dell’abbondanza di gas naturale iraniano, che potrebbe sostituire la Gazprom
come fornitore per l’Europa. Non succederà, in ogni caso, perché l’Iran ha
bisogno di almeno 180 miliardi di dollari di investimenti a lungo termine per
migliorare le proprie infrastrutture energetiche.

Mosca dal canto suo ha preso nota di come Washington
ha bloccato lo sviluppo di South Stream. Sta anche provando a fermare quello di
Turkish Stream – ma la cosa potrebbe finire in un buco nell’acqua in seguito
alla recente e plebiscitaria rielezione di Erdoğan in Turchia. Per di più
Washington sta facendo pressione su Finlandia, Svezia, Ucraina ed Europa
dell’Est per armarsi maggiormente attraverso la NATO contro la Russia.

Il
Re va da Vlad

Dal punto di
vista della Casa di Saud, tre fattori sono di primaria importanza:

1) Un senso generale di ‘allarme rosso’, visto che
sono stati privati della loro relazione esclusiva con Washington e di
conseguenza non hanno più la possibilità di influenzarne la politica estera in
Medio Oriente;

2) Sono stati impressionati dalla operazione
anti-terrorismo da parte della Russia in Siria;

3) Temono come la peste la nuova alleanza Russia-Iran,
a meno che loro non possano aver modo di influenzarla.

Ciò spiega
perché i consulenti di re Salman sostengono con forza che la Casa di Saud
avrebbe maggiori possibilità di tenere sotto controllo l’Iran sotto tutti i
punti di vista – dal “Siraq”allo Yemen – se creasse una relazione più stretta
con Mosca. Infatti re Salman andrà in visita da Putin prima della fine
dell’anno.

La priorità di
Teheran, d’altra parte, è di vendere più gas naturale possibile. Ciò rende
l’Iran un competitor naturale della Gazprom (non al momento, dato che la
maggior parte delle nuove esportazioni sarebbero dirette verso l’Asia e non
verso l’Europa). In termini di gas naturale Russia e Arabia Saudita non sono in
competizione. Il petrolio è tutta un’altra storia: una partnership avrebbe
senso in un panorama di ridimensionamento dell’OPEC – se solo trovassero un
accordo circa la tragedia siriana.

Una delle
storie mai raccontate della recente confusione diplomatica portata dalla Siria
è come Mosca stesse silenziosamente lavorando dietro le quinte per ammorbidire
al contempo sia l’Arabia Saudita sia la Turchia. Ad esempio quando i Ministri
degli Esteri di USA, Russia, Turchia ed Arabia Saudita si sono incontrati prima
di Vienna.

Vienna era
fondamentale non solo perché l’Iran sedeva al tavolo per la prima volta, ma
anche a causa della presenza dell’Egitto – casualmente, dopo la recente
scoperta di nuove riserve petrolifere e dopo un riallacciamento dei rapporti
con la Russia.

Il punto focale
è contenuto in questo paragrafo incluso nella dichiarazione finale di Vienna: “Questo processo politico sarà guidato e
deciso dalla Siria, il popolo siriano deciderà il destino della propria
nazione”
.

Non è casuale
che solo i media russi e iraniani abbiano dato il giusto rilievo alla notizia.
Perché questa significa la morte dell’ossessione per il cambio di regime, con
gran disperazione dei neocon statunitensi, di Erdoğan e della Casa di Saud.

Ciò non
significa che l’alleanza Russia-Iran si trovi d’accordo al 100 per cento sulla
Siria. Questa settimana, il comandante dei Guardiani
della Rivoluzione
, il Generale Maggiore Mohammad Ali Jafari, ancora una volta,
ha spiegato che l’Iran non vede alternative ad Assad come leader della Siria.
Ha persino aggiunto che Mosca potrebbe non condividere appieno questa visione –
che poi è esattamente quanto ha sostenuto la portavoce del Ministero degli
Esteri russo Maria Zakharova.

Ma il punto
principale è la scomparsa dell’opzione del cambio di regime, causata da Mosca.
Ciò permette a Putin di proseguire nello sviluppo della sua elaborata
strategia.

Ha chiamato
Erdoğan mercoledì per congratularsi per la schiacciante vittoria elettorale
conseguita da lui e dall’AKP. Significa che ora Mosca ha qualcuno con cui
parlare ad Ankara. Non solo della Siria, ma anche del gas.

Putin ed Erdoğan avranno un fondamentale incontro sul
tema dell’energia al summit del G20 il 15 di novembre in Turchia e c’è anche in
previsione una visita di Erdoğan a Mosca. Le scommesse sono sul fatto che
l’accordo per Turkish Stream – finalmente – verrà raggiunto entro fine anno.
Per quanto riguarda il nord della Siria, Erdoğan è stato costretto ad
ammettere, a causa delle azioni russe in cielo ed in terra, che il suo piano
per una no-fly zone non decollerà mai.

Arrancando
verso La Mecca

Restiamo con il
problema più grosso: l’Arabia Saudita.

C’è un muro di
omertà sulla ragione principale per cui i Sauditi stiano bombardando ed
invadendo lo Yemen: sfruttare i giacimenti petroliferi yemeniti fianco a fianco
con Israele, nientemeno. Per non menzionare la follia strategica di imbarcarsi
in una lotta contro temibili guerrieri come gli Huthi, che hanno seminato il
panico nel patetico esercito di mercenari saudita.

Riad, seguendo
i propri istinti americani, ha persino deciso di reclutare Academi – la ex
Blackwater – per radunare i soliti sospetti mercenari addirittura in Colombia.

Si sospettava
sin dall’inizio, ma ora è fatto assodato che il responsabile del disastro
militare nello Yemen è il Principe Mohammad bin Salman, il figlio del re, il
quale era stato mandato dal padre a un faccia a faccia con Putin.

Per gettare
benzina sul fuoco, il disastro nello Yemen ha scatenato alcuni loschi movimenti
a Riad, che coinvolgono le persone messe ai margini dal regno di Salman,
specialmente il clan dell’ex re Abdullah. Una situazione talmente caotica che
non si può nemmeno iniziare a descriverla.

Nel frattempo,
il Qatar continua a lamentarsi perché faceva affidamento sulla Siria come
destinazione del tanto desiderato gasdotto per servire i clienti europei, o
almeno come hub di passaggio verso la Turchia.

L’Iran d’altro
canto aveva bisogno sia dell’Iraq sia della Siria per il gasdotto rivale
Iran-Iraq-Siria, perché Teheran non poteva fare affidamento su Ankara finché sottostava
alle sanzioni statunitensi (questa situazione cambierà a breve). Il punto è che
il gas iraniano non sostituirà la Gazprom in Europa nel futuro prossimo. Se lo
facesse, ovviamente, sarebbe un durissimo colpo per la Russia.

In termini di
petrolio, Russia e Arabia Saudita sono alleati naturali. I Sauditi non possono
esportare gas naturale, il Qatar può. Per mantenere i conti in ordine – persino
il FMI sa che sono messi molto male – i Sauditi dovrebbero ridurre la
produzione di circa il 10% insieme all’OPEC, in accordo con la Russia: il
prezzo del petrolio almeno raddoppierebbe. Una riduzione del 10% farebbe la
fortuna della Casa di Saud.

Per cui sia per
Mosca sia per Riad, un accordo sul prezzo del petrolio, che potrebbe essere
spinto oltre i 100$ al barile, avrebbe perfettamente senso da un punto di vista
economico. Probabilmente, in entrambi i casi, potrebbe significare anche una
questione di sicurezza nazionale.

Non sarà
facile. Gli ultimi report dell’OPEC parlano di un paniere di petrolio greggio
quotato a 55$ nel 2015, in crescita di 5$ all’anno fino agli 80$ nel 2020.
Questa situazione
non aiuta né Mosca né Riyadh.

Nel frattempo,
fomentando qualsiasi tipo di speculazione, l’ISIS/ISIL/Daesh continua a
ricavare 50 milioni di dollari al mese dalle vendite del greggio prodotto dai
giacimenti controllati in “Siraq”, secondo le migliori stime di fonte irachena.

Il fatto che
questo mini-califfato del petrolio possa permettersi di importare attrezzature
ed esperti dall’«estero» per mantenere in vita il proprio settore energetico è
da credersi a stento. «Estero» in questo caso significa principalmente Turchia
– ingegneri e attrezzature per estrarre, raffinare, trasportare e produrre
energia.

Una delle
ragioni per cui ciò sta accadendo è che la Coalizione dei Disonesti
Opportunisti (CDO) guidata dagli Stati Uniti – che comprende Turchia ed Arabia
Saudita – sta bombardando le infrastrutture energetiche siriane, non i
possedimenti del mini-califfato petrolifero. Per cui abbiamo i proverbiali
“attori internazionali” che nella regione stanno di fatto aiutando
l’ISIS/ISIL/Daesh a vendere greggio ai contrabbandieri per meno di 10$ al
barile.

I Sauditi –
così come l’intelligence russa – hanno notato come l’ISIS/ISIL/Daesh sia in
grado di impossessarsi delle più avanzate attrezzature statunitensi, che avrebbero
bisogno di mesi per essere padroneggiate, e di inserirle immediatamente nei
propri sistemi. Ciò implica che sia stato addestrato massicciamente. Il Pentagono,
nel frattempo, ha inviato e invierà attrezzature militari avanzate in “Siraq”
con un messaggio preciso: se sceglierete la Russia non vi aiuteremo più.

L’ISIS/ISIL/Daesh,
dal canto suo, non ha mai parlato di liberare Gerusalemme. Parla sempre della
Mecca e di Medina.

Non sbagliate:
ci sono più indizi che puntano a un accordo tra Russia e Arabia Saudita di
quanti non se ne vedano.

Pepe Escobar è autore di Globalistan: How the
Globalized World is Dissolving into Liquid War (Nimble Books, 2007), Red Zone
Blues: a snapshot of Baghdad during the surge (Nimble Books, 2007), e Obama
does Globalistan (Nimble Books, 2009).
Può essere contattato a pepeasia@yahoo.com.

Il testo di
questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la
fonte comedonchisciotte.org.

Alcune piccole correzioni sono state
apportate dalla Redazione di Megachip.

[GotoHome_Torna alla Home Page]

Native

Articoli correlati