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di Claudio Messora.
Alla fine l’ha detto. Intervistato dalla CNN, così Mario Monti: “Stiamo effettivamente distruggendo la domanda interna attraverso il consolidamento fiscale. Quindi, ci deve essere una operazione di domanda attraverso l’Europa, un’espansione della domanda“. Cosa era venuto a fare l’abbiamo sempre saputo, ma forse lui non l’aveva mai detto così chiaramente.
Come si distrugge la domanda interna? Alzi le tasse e svaluti i
salari. Così la gente non ha più soldi e compra di meno. Ma non basta:
lo Stato potrebbe sempre alzare la spesa a deficit, cioè investire sui
cittadini, mediante politiche sociali (esempio: reddito di cittadinanza)
o creando lavoro. E allora cosa facciamo? Semplice: inventiamo il pareggio di bilancio
e lo mettiamo addirittura nella Costituzione, così da rendere
impossibile qualunque ripensamento.
Era l’equazione che ci avrebbe
matematicamente reso più poveri (vedi “La formula che ci inchioda“).
Ricordate? Se costringi la somma delle entrate e delle uscite di uno
Stato ad annullarsi a vicenda, allora se punti sulle esportazioni devi
per forza massacrare i portafogli. E’ quello che ha fatto Monti. Perchè?
Che significa “una domanda attraverso l’Europa� Significa
innanzitutto diventare un centro di produzione a basso costo per i
ricchi paesi del nord (Germania in testa), una specie di Cina europea,
così da non essere costretti a comprare dai trafficanti di diritti di
Pechino, per togliere il mercato all’oriente spregiudicato. Lo fai
diminuendo i costi di produzione, e siccome le materie prime le paghiamo
sempre uguale, bisogna pagare di meno gli stipendi e diminuire i
diritti (vi dice niente la battaglia per la modifica dell’articolo 18?).
Come li costringi, i lavoratori, ad accettare uno standard di vita meno
dignitoso? Li getti nella crisi più nera, svendi tutto il patrimonio di
economia nazionale e permetti ai nuovi padroni di delocalizzare
all’estero. Gli togli le case con Equitalia. Costringi le fabbriche a
chiudere: meno offerta di lavoro uguale più domanda, cioè milioni di
persone senza reddito disposte a qualunque cosa pur di avere un tozzo di
pane. Significa anche che se i tedeschi basano tutta la loro economia
sull’export, hanno bisogno di comprare a prezzi accettabili: con un euro
forte, tagliato su misura per le loro tasche, venire a fare shopping in
Italia è come andare all’outlet nel periodo dei saldi. E significa
anche, nel quadro di strategia geopolitica occidentale, trovare
alternative per limitare lo strapotere commerciale dei brics, e magari
togliere potere a quella Cina che detiene la maggior parte del debito
americano. Prendi un Paese massacrato dal debito pubblico, ricattabile,
ma anche industrializzato, dunque con le possibilità e le competenze
produttive per soddisfare la tua domanda, e lo trasformi in una miniera a
basso costo. Un piano iniziato negli anni ’80, ai tempi di Kohl e
Mitterrand (vedi: “Il funzionario oscuro che faceva paura a Kohl†e “Come ci hanno deindustrializzato“).
Un disegno criminoso, deciso sulla testa dei popoli, senza
consultarli. Una strategia complessiva che fonda tutte le sue
possibilità di riuscita sull’esistenza di una élite di potere che domina
incontrastata, attraverso il controllo della meta-finanza (EFSF, MES,
LTRO, FISCAL COMPACT, REDEMPTION FUND…) e attraverso la costruzione di
un’unica, enorme, sovranazione dove il controllo democratico è
inesistente (e dove i think-tank sostituiscono i parlamenti),
alla quale le evoluzioni dei socialismi europei hanno venduto l’anima,
nell’illusione iniziale (condivisa con la Casa Bianca) di impedire
l’ascesa di nuovi autoritarismi e di riuscire finalmente ad assicurarsi
la vittoria politica che cercano da un secolo: creare una “Internazionale†finalmente vincente e definitiva. Un progetto che ha come termine ultimo la nascita degli Stati Uniti d’Europa, nei quali l’Italia diventa la Calabria e Helsinky la Lombardia.
Ma resta un “ma“: quell’insostenibile anelito dei popoli
alla libertà , quella fissazione verso termini e concetti desueti come
“democraziaâ€, quell’irriducibilità a rivendicare la propria sovranitÃ
elettiva. Resta un’opinione pubblica da condizionare, da convincere che
non esistono altre strade oltre a quella che Monti in Italia e Papademos
in Grecia sono stati mandati a progettare, passando sopra ad ogni forma
di conquista sociale, espropriando terreni dove troppi diritti sono
stati costruiti, inquinando o prosciugando le falde acquifere dove i
popoli soddisfano la loro sete di cultura. Resta da abbattere o
contenere ogni resistenza.
E allora bisogna investire fondi europei per
“un’analisi quantitativa dei mediaâ€, per monitorare le comunicazioni nei
paesi euroscettici, per identificare i temi più rilevanti e per
assoldare una squadra di piccoli Goebbels in grado di reagire
prontamente e fare una propaganda mirata (vedi The Telegraph: “EU to setup euro-election ‘troll patrol’ to tackle Eurosceptic surge“).
Bisogna combattere i “populismiâ€,
cioè chiunque insista nel coltivare la convizione che le élite non
abbiano un mandato divino a governare sul cielo e sulla terra (né le
loro soluzioni siano le migliori a prescindere), ma la sovranitÃ
appartenga al popolo, qualunque uso ne voglia fare. Una convinzione che
si basa sul presupposto che esiste una casta di individui nobili, colti,
intelligenti, saggi, che sanno cosa è bene e cosa è male, e una
sterminata distesa di individui primordiali, poco istruiti ma essenziali
e funzionali, tanto che secondo uno studio accreditato devono restare
in apnea (vedi: “Dovete restare in apnea“), persone che devono essere educate e guidate come buoi fuori e dentro la stalla.
E così Enrico Letta, ieri su La Stampa, inizia la sua offensiva: “Fermiamo i nemici dell’Europa“. “Se
i populisti in Europa superassero una percentuale del 25 per cento
questo sarebbe molto preoccupante. Il rischio che il Cinque Stelle
risulti il primo partito alle Europee è molto forte. Non possiamo
limitarci ad essere timidi con Grillo, o soltanto placcarlo“. No, non possono limitarsi a questo. Ci vuole qualcosa di più forte. Del resto, “La
possibilità che nel prossimo Europarlamento ci sia tra un quarto e un
quinto di deputati euroscettici o populisti è ormai più che probabile“, si legge sempre su La Stampa di oggi, dove contro Grillo scende in campo un altro super-burocrate europeo come Martin Schulz, lo stesso che poco tempo fa si lasciava sfuggire che le banche ci starebbero truffando (vedi “Dal presidente del Parlamento Europeo la conferma: le banche ci stanno truffando“).
C’è l’estrema sinistra greca, Syriza. Ci sono i Veri Finlandesi. Ci sono gli anti immigrati ungheresi Jobbik. C’è l’ultradestra austriaca di Strache (il successore di Haider, morto in un controverso incidente stradale). C’è Nigel Farage nel Regno Unito (vedi: “Così iniziano le dittature“), a sua volta sopravvissuto per miracolo a un altrettanto controverso incidente aereo. C’è Marine Le Pen con il Front National
in Francia (che un recente sondaggio accredita come il primo partito
d’oltralpe). E poi, annoverato tra gli euroscettici, c’è anche Beppe Grillo in Italia. Roba da 9 milioni di elettori e che i sondaggi attestano costantemente sopra il 20%.
Ma è nelle parole di Enrico Letta che si annida la madre di tutte le
contraddizioni. Letta, quello del pizzino a Mario Monti in cui lo
rassicurava che avrebbe fatto tutto quanto nelle sue disponibilità , sia
ufficialmente che ufficiosamente (vedi: “la famosa repubblica parlamentare“). E qui il cerchio si chiude. “Se i populisti in Europa superassero una percentuale del 25 per cento sarebbe molto preccupante“.
Sta dicendo che se l’Europa fosse davvero democratica, accogliendo
nelle istituzioni l’esito della volontà popolare che si esprimerà nelle
urne, questo rappresenterebbe un pericolo per l’Europa stessa. Sta
dicendo, cioè, che l’Europa si salva solo se non è democratica,
ovvero se c’è qualcuno a guidarla al di fuori del legame di
responsabilità politica che lega l’eletto all’elettore.
Qualcuno di
elitario, di incontrollabile, che risponde a logiche diverse da quelle
che esprime il popolo. Qualcuno come lui, come Mario Monti, come Mario Draghi, come Herman Van Rompuy, qualcuno da mettere a capo della Bce, del Fondo Monetario Internazionale, dell’Eba,
qualcuno che diventi primo ministro di ogni singolo Stato membro,
indipendentemente dalle operazioni di voto, qualcuno che faccia parte
dei 17 supergovernatori che gesticono il Mes, qualcuno
che rediga i memorandum da firmare per acconsentire ad ulteriori
cessioni di sovranità , qualcuno che influenzi le elezioni nelle regioni
periferiche dell’Europa, come ha fatto Angela Merkel in Grecia prima e in Italia due volte (vedi: “Merkel interviene sul voto greco: scegliete chi rispetta gli accordi†e “La Germania telefonò a Napolitano e fu subito Golpe“).
Di chi stava eseguendo gli ordini, Mario Monti, quando ha preso il
potere per tagliare le pensioni e distruggere la domanda interna? Perché
qualcuno glielo aveva chiesto, come dimostra anche l’ultimo duro documento del dipartimento del Tesoro Usa scritto in conseguenza dello scontro sul caso NSA: “La
crescita anemica della domanda interna tedesca e la dipendenza di
questo Paese dalle esportazioni hanno ostacolato il ribilanciamento
delle economie proprio quando a diversi altri Paesi
dell’eurozona era stato chiesto di contribuire all’aggiustamento
frenando la loro domanda interna e comprimendo le importazioni. Il risultato di tutto ciò è stato una tendenza deflazionista prima dell’area dell’euro e poi dell’economia mondiale“.
Glielo hanno chiesto le lobby americane, del quale egli ha perseguito a
lungo il vantaggio materiale, come presidente della Commissione
Trilaterale (vedi: “Monti e gli interessi delle lobby americane“)?
E’ un giochetto sfuggito di mano?
Che facciano esperimenti sulla pelle dei popoli, degli imprenditori
che si suicidano, di milioni di poveri che perdono il lavoro e la casa,
costretti a subire e repressi con la violenza se osano lamentarsi,
questo è impunemente, sfacciatamente perfino dichiarato. Già , perché,
continua la stessa intervista rilasciata da Monti alla CNN: “Direi
perfino che la crisi greca, se la consideriamo fin dalle sue prime
manifestazioni nel 2010, ha confermato in maniera vivida che l’Europa
diventa adulta e più forte attraverso le crisi, perché potremmo essere
capaci o incapaci, alla fine, a risolvere la crisi greca, ma in questo
processo abbiamo raggiunto un grado maggiore di coordinazione a priori
delle politiche fiscali nazionali“.
A ben vedere, una specificazione di quello che aveva già detto in precedenza (vedi: “Piccoli pezzetti di sovranità nazionale che se ne vanno“) : “Nei
momenti di crisi più acuta: progressi più sensibili. Non dobbiamo
sorprenderci che l’Europa abbia bisogno di gravi crisi per fare passi
avanti. I passi avanti dell’Europa sono per definizione cessioni di parti di sovranità nazionali
a un livello comunitario. E’ chiaro che il potere politico, ma anche il
senso di appartenenza dei cittadini a una collettività nazionale
possono essere pronti a queste cessioni solo quando il costo politico e
psicologico del non farle diventa superiore al costo del farle perché
c’è una crisi in atto, visibile, conclamata. […] Abbiamo bisogno delle crisi per fare passi avanti,
ma quando una crisi sparisce rimane un sedimento, perché si sono messi
in opera istituzioni, leggi eccetera per cui non è pienamente
reversibile“.
Cioè: chi se ne frega se i greci muoiono e se gli italiani si suicidano, noi dobbiamo fare gli Stati Uniti d’Europa e giocheremo con i nostri alambicchi e le nostre provette finché come per magia da una nuvoletta, pufff, uscirà qualcosa che gli assomiglia. Un circo delle pulci in cui le pulci possono solo saltare o essere schiacciate.
A maggio 2014, il loro giochino potrebbe rompersi. Ultima fermata. Poi, il capolinea.
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