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di Marco Bersani.
Dopo i tremendi attacchi terroristici di Isis nel cuore di Parigi, da tutti i governi si è levata una voce unanime: occorre rompere ogni legame economico con il cosiddetto “Stato islamicoâ€.
Da dove Isis ricavi le enormi somme di denaro di cui dimostra di potersi avvalere è il ritornello di ogni dibattito o analisi. Si finanzia con il petrolio? Certo, ma, essendo l’acquisto di petrolio un processo industriale, occorre che qualcuno lo compri, e non lo farà portandosi una tanica alla volta sopra un carretto. Si finanzia con il contrabbando? Certo, ma, sebbene ad un livello di complessità industriale minore, vale lo stesso ragionamento del petrolio.
Forse occorre risalire la corrente e porsi alcune domande. E’ da tempo noto il legame di Isis con le petromonarchie del Golfo: Arabia Saudita, Qatar, Kuwait. Naturalmente, questo non significa che ci siano le prove che questi Stati finanzino in quanto tali l’estremismo jihadista, ma senz’altro richiede un approfondimento sull’enorme massa di investimenti che questi paesi hanno da tempo avviato in Europa.
A questo proposito, ci scuserà il premier Renzi, che sappiamo in difficoltà ogni volta che il suo favoloso mondo smart si dimostra luogo di immani tragedie, ma alcune domande rispetto a Cassa Depositi e Prestiti sorgono spontanee.
Nel luglio 2014, da FSI (Fondo Strategico Italiano- 80% di CDP e 20% di Banca d’Italia) è nato FSI Investimenti, formato da FSI (77%) e da Kuwait Investment Authority (23%), il fondo sovrano del Kuwait.
Al nuovo Fondo sono state conferite tutte le partecipazioni detenute da FSI. Questo significa che una serie di aziende, alcune appunto “strategicheâ€, fanno capo indirettamente al Kuwait: parliamo del 46,2% di Metroweb Italia, operatore infrastrutturale per la fibra ottica; del 44,5% di Ansaldo Energia, leader nella produzione di turbine a gas e a vapore; del 49,5% di Valvitalia, produttore di valvole per l’industria petrolifera; del 49,9% di Sia, realizzatore di sistemi di pagamento elettronici per banche centrali e pubbliche amministrazioni; del 25,1% in Kedrion, gruppo che produce plasmaderivati per uso terapeutico. Oltre a partecipazioni “minoriâ€, come l’11,5% di Rocco Forte Hotels, gruppo attivo nella gestione degli alberghi di lusso, e l’8,4% in Trevi, gruppo specializzato nel settore dell’ingegneria del sottosuolo.
Non solo. Sempre a Fsi Investimenti è stato conferito il 50% della IQ Made in Italy Investment Company, un’altra joint venture, costituita nel maggio 2013 tra FSI (50%) e QIA (fondo sovrano del Qatar), al cui attivo ad oggi c’è una quota del 28% rilevata in Inalca, società leader nella vendita di carne bovina che fa capo al gruppo Cremonini. Potremmo continuare a lungo, per esempio parlando di Fincantieri (71,6% di Fintecna, società al 100% di CDP) e alla sua joint venture dei cantieri Ethad, attivi negli Emirati Arabi Uniti.
Ma il quadro ci sembra più che sufficiente per chiedere cosa stia facendo e se se ne stia per caso occupando la Commissione parlamentare per la vigilanza sulla Cassa depositi e prestiti, che per legge “dovrebbe presentare annualmente al Parlamento una relazione sulla ”direzione morale” e sulla ”situazione materiale” della Cassa e approvarne i rendiconti consuntivi di tutte le gestioni che, previa verifica da parte della Corte dei Conti, sono trasmessi in allegato alla predetta relazione al Parlamento entro l’anno successivo a quello cui essi si riferisconoâ€?
Ad oggi di tutto questo nulla se ne sa.
Annotazione a margine: da ieri tutte le spese anti-terrorismo sono fuori dal patto di stabilità . Ai sindaci dei comuni periodicamente sommersi dalle inondazioni, per avere fondi contro il dissesto idrogeologico. non resta che una possibilità : far trovare comunicati dell”Isis di rivendicazione dell”esondazione dei fiumi.
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