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Esclusivo: i progetti segreti di Israele e Arabia Saudita

'In parallelo ai negoziati Usa-Iran, che cambieranno i giochi per 10 anni, Tel Aviv e Riad s''incontrano per reagire. Effetti in Palestina e altrove [Thierry Meyssan]'

Esclusivo: i progetti segreti di Israele e Arabia Saudita
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21 Giugno 2015 - 19.06


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Sotto
i nostri occhi» – Cronaca di politica internazionale n°13
3

di
Thierry Meyssan
.

La
risposta di Tel Aviv e di Riad ai negoziati tra gli Stati Uniti e
l”Iran si colloca in continuità con il finanziamento della guerra
contro Gaza nel 2008 da parte dell”Arabia Saudita: l”alleanza di uno
stato coloniale e di una monarchia oscurantista. Mentre il Medio
Oriente è in procinto di sperimentare un cambiamento per dieci anni
delle sue regole del gioco, Thierry Meyssan rivela il contenuto dei
negoziati segreti tra Tel Aviv e Riad.

DAMASCO
Nessuno, in Medio Oriente,
è consapevole del fatto che gli accordi segreti che dovrebbero
essere firmati il prossimo 30 giugno – a margine dell”accordo
multilaterale sul nucleare – da Washington e Teheran andranno
probabilmente a impostare le regole del gioco per i dieci anni
venire.

Tali
accordi intervengono nel momento in cui gli Stati Uniti sono
diventati il primo produttore di petrolio al mondo, davanti
all”Arabia Saudita e alla Russia. Non hanno dunque più bisogno per
se stessi del petrolio mediorientale e se ne interessano solo per
mantenere il mercato globale in dollari.

Inoltre,
Washington ha iniziato un riposizionamento delle sue truppe,
dall”Europa occidentale e dal Medio Oriente verso l”Estremo Oriente.
Questo non significa che vada ad abbandonare queste regioni, ma che
desidera garantire in altro modo la loro sicurezza.

Israele

in
base alle informazioni di cui disponiamo, da 17 mesi (cioè dopo
l”annuncio dei negoziati tra Washington e Teheran che peraltro sono
in corso da 27 mesi), Tel Aviv sta conducendo negoziati segreti con
l”Arabia Saudita. Delle delegazioni ad alto livello si sono
incontrate cinque volte in India, in Italia e in Repubblica Ceca.

La
cooperazione tra Tel Aviv e Riad si inscrive nel programma
statunitense volto a creare una
«forza
araba comune
»
sotto gli auspici della Lega Araba, ma sotto il comando israeliano.
Tutto ciò è già effettivo nello Yemen, dove i soldati israeliani
pilotano bombardieri sauditi nel quadro di una Coalizione araba il
cui quartier generale è stato installato dagli israeliani nel
Somaliland, uno Stato non riconosciuto, situato sul lato opposto
dello stretto di Bab el-Mandeb. [1]

Tuttavia,
Riad non intende formalizzare questa cooperazione finché Tel Aviv
respingerà l”iniziativa di pace araba, presentata alla Lega Araba
nel 2002 dal principe Abdullah prima di diventare re. [2]

Israele
e l”Arabia Saudita hanno finito per accordarsi su diversi obiettivi.

Sul
piano politico:


“Democratizzare” gli Stati del Golfo, ossia coinvolgere i
popoli nella gestione dei propri rispettivi paesi, affermando nel
contempo l”intangibilità della monarchia e del modello di vita
wahhabita;


Cambiare il sistema politico in Iran (e non più fare la guerra
all”Iran);


Creare un Kurdistan indipendente al fine di indebolire l”Iran, la
Turchia (per quanto a lungo costituisse un alleato di Israele) e
l”Iraq (ma non la Siria, che è già indebolita durevolmente).

Sul
piano economico:


Sfruttare il campo petrolifero Rub”al Khali e organizzare una
federazione tra l”Arabia Saudita, lo Yemen o l”Oman e gli Emirati
Arabi Uniti;


Sfruttare i campi petroliferi dell”Ogaden, sotto controllo etiope,
mettere in sicurezza il porto di Aden nello Yemen, e costruire un
ponte che colleghi Gibuti allo Yemen.

In
altre parole, se Tel Aviv e Riad fanno «buon viso a cattivo gioco»
e ammettono che i due terzi dell”Iraq, la Siria e la metà del Libano
siano controllati dall”Iran, intendono:


Assicurarsi che l”Iran rinunci a esportare la sua rivoluzione;


Controllare il resto della regione, escludendo la Turchia che è
succeduta all”Arabia Saudita nella supervisione del terrorismo
internazionale e ha appena perso in Siria.

Palestina

Il
riconoscimento internazionale di uno Stato palestinese, conformemente
agli accordi di Oslo e all”iniziativa di pace araba, sarà solo una
questione di mesi dopo la firma degli accordi fra USA e Iran.

Il
governo palestinese di unità nazionale, che non ha mai funzionato,
ha improvvisamente rassegnato le dimissioni. Sembra certo che Fatah
di Mahmoud Abbas sarà ampiamente sostenuta dal suo popolo al momento
in cui lo Stato palestinese entrerà alle Nazioni Unite.

Il
movimento Hamas, che ha incarnato dal 2008 la Resistenza, si è di
colpo screditato nell”ufficializzare la sua appartenenza ai Fratelli
musulmani (quando la Fratellanza ha tentato diversi colpi di stato in
Arabia Saudita) e nel prendere le armi contro l”unico Stato della
regione autenticamente filo-palestinese, la Repubblica araba siriana.
Inoltre, per rifarsi un”immagine, ha deciso di farsi discreto e di
sostenere ormai piuttosto azioni nonviolente.

Il
riconoscimento dello Stato palestinese metterà fine al diritto al
ritorno dei palestinesi cacciati dalle loro terre, ma aprirà per
loro un nuovo status. Gli Stati Uniti e l”Arabia Saudita investiranno
massicciamente per sviluppare l”economia del nuovo Stato.

Già
adesso, diversi candidati si accalcano per la successione a Mahmoud
Abbas (che ha 80 anni e il cui mandato è scaduto nel 2009). Fra
questi Mohammed Dahlan, l”ex capo della sicurezza che aveva
organizzato l”avvelenamento di Yasser Arafat ed era stato costretto a
lasciare il paese nel 2007. Dopo aver lavorato per gli Emirati Arabi
Uniti, e dopo aver ottenuto le nazionalità montenegrina – come l”ex
primo ministro thailandese Thaksin Shinawatra – e serba, è rientrato
in Palestina a febbraio, con l”aiuto dei suoi ex avversari di Hamas.
Divenuto miliardario, compra combattenti e voti senza badare a spese.
Un candidato più serio potrebbe essere Marwan Barghouti, che
attualmente sta scontando cinque ergastoli in Israele, e che potrebbe
essere rilasciato nell”ambito dell”accordo di pace. È infatti
l”unica personalità palestinese non corrotta che sia scampata ai
killer del Mossad.

Arabia
Saudita

In
questo contesto, la visita in Russia del principe Mohammed bin
Salman, figlio del re Salman dell”Arabia Saudita, ha sollevato serie
preoccupazioni, una campagna di stampa che lasciava intendere che
volesse negoziare una cessazione degli aiuti russi alla Siria.
Seguiva di una settimana gli spostamenti del capo dell”Organizzazione
per la cooperazione islamica, Iyad bin Amin Madani. Era accompagnato
da diversi ministri e una trentina di uomini d”affari. La delegazione
saudita ha partecipato al Forum economico di San Pietroburgo e il
principe è stato ricevuto dal presidente Vladimir Putin.

Fin
dalla sua creazione, il regno wahabita intrattiene relazioni
privilegiate con gli Stati Uniti e considera l”Unione Sovietica e poi
la Russia come avversari. Sembra che tutto questo stia cambiando.

La
notevole importanza degli accordi economici e di cooperazione che
sono stati firmati dà inizio a una nuova politica. L”Arabia Saudita
ha così acquistato 19 centrali nucleari, ha accettato di partecipare
al programma russo di ricerca spaziale, e ha inoltre negoziato
accordi petroliferi i cui dettagli non sono ancora stati resi di
pubblico dominio.

Per
eliminare ogni ambiguità su questo riavvicinamento, il presidente
Putin ha tenuto ad affermare che la Russia non cambiava in nulla il
suo sostegno alla Siria e che aiuterebbe qualsiasi soluzione politica
conforme al volere del popolo siriano. In precedenti dichiarazioni,
aveva indicato che tutto ciò comporta il mantenimento al potere del
presidente al-Assad fino alla fine del settennato, per il quale è
stato democraticamente eletto.

I
perdenti della ridistribuzione delle carte

Tutto
fa pensare che una volta che gli accordi USA-Iran saranno firmati
[3], i perdenti saranno:


Il popolo palestinese che si vedrà privato del diritto inalienabile
al ritorno per il quale ben tre generazioni si sono battute;


La Turchia, che rischia di pagare a caro prezzo il suo sogno
egemonico, il suo sostegno ai Fratelli musulmani e la sua sconfitta
in Siria [4];


La Francia, che si è accanita per quattro anni al fine di
ristabilire i propri interessi coloniali nella regione e che si
ritrova, in ultima analisi, nella mera posizione di fornitore di
Israele e dell”Arabia Saudita [5].

NOTE

[1]
«
La
Forza “araba” di Difesa comune
»,
di Thierry Meyssan,
Rete
Voltaire
,
Megachip,
20 aprile 2015.

[3]
«
Come
diventerà il Vicino Oriente dopo l’accordo tra Washington e
Teheran?
»,
di Thierry Meyssan,
Rete
Voltaire
,
Megachip,
18 maggio 2015.

[4]
«
Verso
la fine del sistema Erdoğan
»,
di Thierry Meyssan,
Rete
Voltaire
,
Megachip,
15 giugno 2015.

[5]
«
La
prevedibile sconfitta della Francia in Medio Oriente
»,
di Thierry Meyssan,
Rete
Voltaire
,
Megachip,
8 giugno 2015.

Questa
“cronaca settimanale di politica estera” appare
simultaneamente in versione araba sul quotidiano
“Al-Watan”(Siria),
in versione tedesca sulla 
“Neue
Reinische Zeitung”
,
in lingua russa sulla 
“Komsomolskaja
Pravda”
,
in inglese su
“Information
Clearing House”
,
in francese sul
“Réseau
Voltaire”
.

Thierry
Meyssan, 21 giugno 2015.

Traduzione
a cura di Matzu Yagi

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