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Il Dottor Stranamore nel deserto

'Capire il nuovo puzzle della guerra in Medio Oriente: un gioco pericoloso come lo era l''invasione tedesca della Polonia, stavolta con ISIS e altri giocatori [Piotr]'

Il Dottor Stranamore nel deserto
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20 Ottobre 2014 - 21.54


ATF

di
Piotr
.

Winston
Churchill con alcuni minuscoli biplano a elica in poche settimane
stroncò una rivolta di milioni di Iracheni. Incidentalmente ricordo
che lo statista inglese perorò
anche l’utilizzo dei gas
, perché, a suo modo di
vedere, un conto era non usarli tra i popoli civili d’Europa e un
conto era gasare “tribù selvagge” (o i Bolscevichi), cosa da lui
ritenuta più che legittima. Chi in Inghilterra si opponeva a questi
mezzi era considerato da Churchill un idiota contrario all’uso
di “espedienti scientifici”
. Insomma, un oscurantista
contrario al progresso tecnico e scientifico. Questo colui che poi
diventò il maggior antagonista occidentale del nazifascismo.

Prima
morale: attenzione, molta attenzione, all’uso di dicotomie come
“progresso/reazione”, “fascista/antifascista”,
“civile/incivile” e così via.

Dopo
questi preliminari passiamo al dunque.

Con
tutti i loro bombardieri supertecnologici, e fuorilegge
secondo il diritto internazionale
, i bombardamenti
degli Usa “contro l’ISIS” hanno come bilancio: alcuni edifici
preventivamente evacuati dagli jihadisti, alcune distese di deserto,
14 jihadisti, numerose infrastrutture siriane e un numero molto alto
di civili. Thierry
Meyssan ha calcolato
in base alle cifre ufficiali, che parlano di
300 jihadisti uccisi, una media di 13 missioni aeree (tredici!) e un
numero imprecisato di bombe e missili per uccidere un singolo
jihadista. Il tutto su un terreno dove è praticamente impossibile
nascondersi.

Stando
alle stime del Guardian
e della CNN,
l’uccisione di un singolo combattente jihadista viene a costare
diverse centinaia di migliaia di dollari, o più probabilmente di
petrodollari
. C’è chi si sforza di spiegare questa fantastica
inefficienza con la mancanza di informazioni in loco, chi con la
burocrazia del Comando Centrale USA (CentCom), ma per me la
spiegazione più verosimile è “presa per i fondelli”.

La
presa in giro è infatti più che evidente come è evidente che
nessun giornalista o analista del mainstream ha invece il
coraggio di metterla in evidenza. Scemenze ed omissioni che parlano
più di diecimila inchieste.

Gli
USA si sono persino stancati di far moine, hanno gettato la maschera
e la portavoce del Dipartimento di Stato, Jen
Psaki, ha affermato
apertis
verbis
che a loro dell’ISIS non gli interessa
un gran che
e quindi se prende Kobani facendo polpette dei suoi
abitanti per loro non è un grosso problema perché il vero problema
strategico è la Siria («it’s
obviously horrific to watch what’s going on on the ground.
But
it’s important for the United States, for us, to also step back and
remember our strategic objectives as it relates to our efforts and
our engagement in Syria
»).

In
realtà si tratta di una mezza verità, che nasconde diverse cose:

1)
L’ISIS è un reparto armato della Casa Saudita (come viene mostrato
in un’intervista
della tv saudita al Arabiya
) e i Saud sono i più
fedeli e antichi alleati in Medioriente degli USA.

2)
Gli Usa non amano i Curdi siriani perché fino ad oggi si sono rifiutati di unirsi ai “ribelli” anti-Assad e, anzi, hanno
dato del filo da torcere ai ribelli stessi.

3)
I Curdi siriani sono alleati col partito curdo del PKK in Turchia,
che è pur sempre una spina nel fianco del bastione mediorientale
della NATO (e lo si è visto anche di recente) mentre sono molto
sospettosi e guardinghi nei confronti del clan Barzani, alleato in
Iraq con USA e Israele (quello a cui l’Italia sta dando le armi,
ovviamente).

4)
Il Kurdistan siriano è una delle micro aree in cui si vuole
spezzettare la Siria, ma dato che i Curdi siriani non collaborano,
tanto vale fare una pulizia etnica.

Quindi
una prima deduzione logica è che la signora Psaki sarà pur
orripilata a vedere i massacri a Kobani ma gli Usa in cuor loro
sperano che l’ISIS conquisti la città e faccia polpette dei suoi
abitanti (come hanno dimostrato di voler fare).

Perché allora la pantomima iniziale? E perché la “svolta” recentissima, ovvero gli aiuti a Kobani da parte di Usa e Turchia?

Per prima cosa, sono sempre loro a dirlo, i Sauditi
e
Erdoğan
, il
“salvataggio” di Kobani doveva essere la scusa per lanciare un
attacco in grande stile alla Siria.

L’attacco
finora però non c’è stato. Perché?

Procedo
cercando di far lavorare la logica su pochi pezzi di un puzzle che in
larga misura mi è sconosciuto. Ecco alcune ipotesi che non si
escludono a vicenda. Anzi possono essere perfettamente compresenti.

a)
La breve ma intensa ribellione curda all’interno della Turchia (più
di 40 morti) ha fatto nascere il forte timore di una prossima
recrudescenza della guerriglia da parte del PKK. Recrudescenza che
congiunta al latente scontento sociale (di cui le rivolte di Taksim
Meydanı sono state un forte segnale), costituirebbe una miscela
esplosiva. Tenuto poi conto che in Turchia ci sono formazioni
comuniste molto combattive, il rischio è che il bastione
sud-orientale della NATO si becchi sui denti la sua specifica
rivolta
di piazza
– con possibile partecipazione straordinaria ma
discreta della Russia. Una rivolta che sarebbe tra l’altro il
preoccupante segno dell’esistenza della nemesi storica:
Maidan vs Meydan.

b)
Ipotizzo dure minacce da parte della Russia. Se ci sono
effettivamente state, allora sono state durissime, perché quelle di
cui viene a conoscenza la stampa sono solitamente le più
spettacolari, ma meno serie. Le vere minacce e controminacce sono top
secret, con ciò onorando l’adagio che dice che il can che
abbaia non morde, ma se ringhia probabilmente sì
.

c)
Infine – ma potrebbe esser messo in testa – tra USA, Sauditi e
Turchia non c’è nessun accordo di fondo sulle prossime mosse,
perché non c’è accordo sul risultato finale. I Sauditi
hanno capito che devono guardarsi alle spalle da alcuni settori
statunitensi che amerebbero balcanizzare anche l’Arabia saudita e
persino la Turchia. Quindi devono contemporaneamente perseguire i
propri interessi e dimostrare di essere alleati indispensabili. Per
far ciò stanno facendo leva sull’ISIS e il suo uso polimorfico:
testa di ponte per il controllo di un cuneo strategico nel Medio
Oriente allargato
, organizzazione – ormai territoriale –
strategica per la propagazione del caos verso Iran, Russia, India
e Cina
, minaccia possibile per gli interessi USA e persino
direttamente per gli USA se la furia balcanizzatrice dei neocons
dovesse minacciare la vasta proprietà privata del gerontocomio dei
principi wahhabiti, detto “Arabia Saudita”. Utilizzando questo
polimorfismo, infine, i Sauditi cercano di far progredire il loro
piano specifico di espansionismo wahhabita.

Erdoğan
più o meno fa gli stessi conti, ha problemi simili con l’alleato
nordamericano e cerca un vantaggio che però interferisce con quello
ricercato dai sauditi, dato che il progetto turco è quello di un
espansionismo neo-ottomano targato Fratellanza Musulmana. Ad ogni
modo pur sempre un espansionismo asiatico e musulmano, due
caratteristiche che in linea teorica dovrebbero essere viste con
molto sospetto dai custodi dell’ortodossia kemalista (laica e
orientata all’Europa): la magistratura e l’esercito turchi.

Infine
gli USA devono non irritare troppo i due grandi alleati, far finta
che si troverà una soluzione soddisfacente per tutti, non farsi
tirare da loro verso una parte o verso un’altra e, soprattutto far
infine trionfare i propri interessi strategici.

La
recente “svolta” degli aiuti statunitensi a Kobani e
dell’apertura turca al flusso di combattenti curdi verso la città
assediata, può quindi essere inquadrata proprio in un
complesso
negoziato
tra Usa, Turchia, Pkk,
Regione
autonoma
del Kurdistan
iracheno (cioè Masoud Barzani)
e
partito curdo siriano Pyd. Un negoziato dove tutti gli elementi
precedenti entrano in gioco.

In
sostanza io credo che sul tavolo ci siano le seguenti questioni: a)
il clan di Barzani, la cui alleanza con Usa e Israele lo aveva
alienato dalle formazioni curde in Turchia e Siria, ha capito che
senza l’appoggio di queste l’Isis può mettere seriamente in
forse il suo ambizioso piano di ritagliarsi uno stato curdo
comprendente parte delle regioni petrolifere irachene (piano
sostenuto dagli Usa). b) Gli Usa non sono felici di vedere i pozzi
petroliferi iracheni in mano Isis, ovvero in mano saudita. Abbastanza
evidentemente, una “Grande Arabia Saudita” non può avere spazio
nella strategia di balcanizzazione del Grande Medio Oriente
perseguita da Usa (e Israele). Inoltre gli Stati Uniti probabilmente
sperano di ottenere il passaggio del Pyd nella coalizione anti-Assad.
c) Questa è anche la speranza di Erdoğan, che in più ha altri
problemi da risolvere: non mostrarsi oltre misura sponsor dell’Isis
(cosa risibile, perché persino il vicepresidente statunitense Joe
Biden lo ha accusato di ciò; dato il pulpito da cui veniva la
predica la miglior lettura dell’accusa è forse questa: “Erdoğan,
non hai capito che la strategia di fase è cambiata. Adeguati”);
mettere i bastoni tra le ruote all’espansionismo saudita; non
gettare altra benzina sul fuoco della questione curda.

Possiamo
ipotizzare che gli Usa visto come si mettevano le cose abbiano optato
per un piano C. Un piano innanzitutto coerente col soft-power
di cui è fautore Obama, ovvero facciamo agire forze locali
substatali e noi ci riserviamo di manovrare da dietro le quinte.
Leading from behind, proclamò Barack O’Bomba (nomignolo
appioppatogli dalla sinistra statunitense, evidentemente meno
rimbecillita della nostra).

Piccola previsione: se il piano C avrà successo, la Clinton,
ovvero la feroce fautrice dello scontro diretto, dell’hard-power,
non vincerà. Se invece il piano C dovesse fallire alla Casa Bianca
avremo con molta probabilità il dubbio piacere di vedere lo
spettacolo di una donna progressista rincorrere come
un’erinni nevrotica i generali del Pentagono che scappano
terrorizzati con la valigetta dei codici nucleari per cercare di non
farle pigiare i bottoni fine-di-mondo. Insomma, il capovolgimento
della situazione narrata da Kubrick nel Dottor
Stranamore
.

Ma
in cosa consiste il piano C?

In
termini generali lo posiamo illustrare con una metafora idraulica.
Avendo messo in moto un flusso che evidentemente non vogliono fermare
ma non riescono a controllare direttamente, per tutte le ragioni
sopra esposte, gli Stati Uniti cercano di incanalarlo aprendo
saracinesche o alzandole, decisioni che possono anche essere prese in
modo reattivo, quasi all’impronta, avendo come punto di riferimento
solo alcuni elementi strategici.

Espresso
invece con una metafora informatica, se l’iniziale strategia di
Bush Jr era vecchio stampo, come una sorta di black-box
, cioè
quei processi dove c’è un input di tipo noto, un’elaborazione
prefissata e un output di tipo prefissato (la famosa tabella di
marcia del 2001, Libia, Libano, Siria, Sudan, Somalia, Iran e Iraq,
svelata dal generale Wesley Clark), al contrario il piano C di
Obama riflette un modello di “interactive processing”,
dove
l’elaborazione viene ridefinita dinamicamente da dati ed eventi,
anche inaspettati.

Per
quanto riesco a capire, il piano C consiste – alla data – nel
lasciare che l’Arabia Saudita tramite l’Isis conquisti parte
dell’Iraq e parte della Siria, far sparire nel nulla lo “sceicco”
al Baghdadi (magari con un fake-bliz alla bin Laden) e al suo
posto far emergere un “moderato”, che magari farà mediaticamente
piazza pulita degli “estremisti” con l’esecuzione pubblica di
qualche ragazzotto disilluso dalla crisi sistemica e rimbecillito
dai sermoni
nelle moschee in quota alla Casa Saud. Magari, per
l’occasione, verranno liberati gli ostaggi occidentali, tra cui
quelli laggiù finiti non perché rimbecilliti dai sermoni
islamisti ma da quelli laici dei media occidentali più blasonati

tipicamente progressisti.

Avremo
così
un prolungamento dell’Arabia
Saudita
riconosciuto o
semi-riconosciuto dall’Occidente, e quindi da esso più
controllabile politicamente. Già ci stiamo premunendo chiamandolo
non più Isis ma semplicemente Stato Islamico (IS). L’IS si
conformerà come un cuneo nel centro dell’Asia, per molti effetti
un prolungamento dello
Stato più
reazionario del globo
, da qualsiasi
punto lo si voglia considerare, pronto a diventare
polo
di attrazione e di controllo dell’islam sunnita internazionale

(leggasi, India, Pakistan, Indonesia, Filippine, Turchia, Uiguri,
Kosovo, Bosnia, eccetera, oltre agli stati arabi, ma in qualche
misura anche i paesi europei con forte immigrazione islamica, così
che sarà sempre più difficile, tra l’altro, controbattere alle
spinte xenofobe nelle società europee, spinte che alimenteranno il
caos con altro caos).

Diciamo
che si creerà uno stato confessionale capace di influenzare
potenzialmente un miliardo di persone (si vedano le
ottime
analisi di Pierluigi Fagan
) e
quindi capace di
mobilitare
professionisti del caos imperiale nella metà del mondo che adesso
più conta
. Nel cercare di prevenire
questo scenario è verosimile che gli Stati summenzionati inizino fin
da subito a mettere in pratica politiche repressive che se non
accompagnate da misure politiche adeguate (cosa che purtroppo vedo
difficile anche per via del lato economico della crisi) potrebbero
preparare il terreno al caos stesso.

Se
nell”ultimo post ho parlato di “metabolizzazione costantiniana”,
qui possiamo parlare di “
metabolizzazione
obamiana
“: che c”è di meglio
che trasformare in un”arma-creatrice-di-Storia (dove Storia=Nuovo
secolo americano) l”Islam, che ricopre con macchie di leopardo di
varie dimensioni, da piccole a enormi, tutta l”Eurasia, cioè il
continente strategico
di Zbigniew Brzezinski?
E’ un gioco
pericoloso anche per gli Stati Uniti? Sì.

E’ un gioco pericoloso anche per le petromonarchie? Sì. E’ un
gioco pericoloso per la Turchia? Sì. L’invasione della Polonia non
è stata un gioco pericoloso per la Germania nazista? Sì.

Vi
piace la prospettiva? NO? Ho capito bene? NO? Siete sicuri sicuri
sicuri?

Bene,
ecco allora la seconda domanda: lo avete capito che questa è invece
la prospettiva imperiale alla quale qui in Italia, oltre che a
settori di destra sta lavorando uno schieramento di sinistra che va
da servi coscienti e remunerati (soldi, potere e così via) a servi
sciocchi e sprovveduti?

Amici
e amiche dirittumanisti e dirittumaniste che vi sentite di sinistra e
votate a sinistra (o pensate di farlo), capito l”antifona? Amiche
femministe lo avete capito che le Femen – perfetta versione femminile
del comandante
fuori di zucca descritto da Kubrick
– se la fanno con
gli amici del nazista Dmitrij Jarosh, capo del Trizub Stepan Bandera
e di Settore Destro, che, guarda un po”, ha combattuto con gli
islamisti ceceni chiedendo la protezione all’emiro del Caucaso del
Nord, Doku Umarov, considerato dalle Nazioni Unite membro di
al-Qaida?

Avete
capito che tutto si tiene e che razza di collegamenti emergono
?

Che
sballo questo Impero che da una parte scatena fanciulle che scoprono
in pubblico le tette
, si calano le mutande per urinare
sulle immagini dei nemici
(o anche solo ostacoli)
dell’Impero, fanno orge
pubbliche con giovanissime donne incinte
(le loro
cugine Pussy Riot) o nei supermercati si infilano polli
surgelati nella vagina
(sempre le “compagne
Pussy Riot
” – vero Paolo Ferrero?) e dall”altra scatena
tagliagole che le
donne le lapidano, le decapitano,
le stuprano e  impongono loro il velo!

Be”,
non si è mica imperi per niente. Per essere imperi bisogna saper
agire a 360 gradi, capire quando è ora di smetterla di far sbranare
i cristiani dai leoni e dare invece loro posti chiave nella società.
Capire quando e dove fare il forcaiolo e quando e dove fare il
libertario. Quando devastare la Terra e quando fare gli ecologisti,
dove inneggiare alla libertà e ai diritti civili, e dove permettere
che si scanni, si facciano stragi, si torturi, si stupri si smembrino
corpi umani, si sgozzi, si crocefigga, si schiavizzi, si impali, si
decapitino bambini e bambine.

Ed
è chiaro, o no, dopo questi orrori come
potrebbe andare a finire
?

A
voi la risposta.

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